Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  settembre 17 Sabato calendario

L’Università per Stranieri di Siena ha intitolato 24 spazi della sua sede ai 12 professori che nel 1931 si rifiutarono di giurare fedeltà al Regime e a 12 grandi donne del ’900


È un’unica idea di università quella che proviene dalle due parti, distinte ma profondamente connesse, di questa ‘giornata particolare’.
Conferiamo la laurea magistrale honoris causa in Scienze linguistiche e comunicazione interculturale a Nadia Fusini, che rappresenta con rara pienezza l’essenza stessa dell’università: per la sua ricerca acuta e instancabile; per la sua didattica appassionata e generosissima; per una capacità davvero unica di parlare a tutte e tutti fuori dall’università (quella che chiamiamo la terza missione). Nadia Fusini rappresenta proprio quello che la Stranieri è, e, sempre più, vuole essere: perché concepisce e pratica la traduzione come arte del connettere e insieme del distinguere. La traduzione come chiave del dialogo tra le culture. La traduzione come strumento di costruzione di una umanità unica, senza confini e senza barriere (e senza guerre), ma fiera delle sue diversità.
Contemporaneamente imponiamo nuovi nomi allo spazio in cui si svolge il nostro lavoro. Dodici aule avranno i nomi dei dodici professori che nel 1931 non giurarono fedeltà al fascismo. Rispettiamo, e in alcuni casi veneriamo (penso a Piero Calamandrei), anche professori che per motivi diversi decisero, con la morte del cuore, di spergiurare fedeltà al regime, ma senza rinunciare a combatterlo. E tuttavia pensiamo che sia giusto (e oggi più che mai necessario) offrire alle nostre studentesse e ai nostri studenti l’esempio di chi, vedendosi chiedere di giurare di “formare cittadini … devoti alla Patria e al Regime Fascista” rifiutò, perdendo posto e stipendio: 12 su 1200, uno su cento. Furono Ernesto Buonaiuti (Storia del cristianesimo); Mario Carrara (Antropologia criminale e medicina legale); Gaetano De Sanctis (Storia antica); Giorgio Errera (Chimica); Giorgio Levi Della Vida (Lingue semitiche); Fabio Luzzatto (Diritto civile); Piero Martinetti (Filosofia); Bartolo Nigrisoli (Chirurgia); Francesco Ruffini (Diritto ecclesiastico); Edoardo Ruffini Avondo (Storia del diritto); Lionello Venturi (Storia dell’arte); Vito Volterra (Fisica matematica). Sono nomi che ci ricorderanno, scritti sulle porte delle nostre aule, che l’antifascismo iscritto per sempre nella Costituzione della Repubblica è la bussola morale del nostro lavoro, e che l’università è libera e autonoma rispetto a ogni potere. L’aula più grande sarà dedicata Giorgio Levi Della Vida, unico linguista (e dunque vicinissimo ai nostri studi) tra i dodici. Abbiamo scelto una sua frase, piena di dignità e insieme di amara ironia, da scrivere sul muro di quell’aula: “Per colmo di disavventura, la promulgazione delle leggi anti-ebraiche che nell’autunno del 1938 aveva estromesso dall’insegnamento un numero rilevante di professori ebrei, finì con l’annegare il mio caso nel loro, tanto più notorio e più lacrimevole, così che i più credettero e credono che io abbia perduto il posto a causa del mio sangue e non delle mie idee». Ecco, noi vogliamo proprio ricordare per sempre che il posto egli fu disposto a perderlo per le sue idee, potendo (ancora) scegliere di tenerlo se le avesse rinnegate. Ma seppe dire di no: e dire di no è una virtù che noi vogliamo insegnare a coltivare.
I dodici professori erano tutti maschi, come maschi erano quasi tutti i docenti delle università italiane di allora. E dunque abbiamo voluto scegliere anche dodici grandi donne, intellettuali e antifasciste, del Novecento. Alcune celeberrime, altre poco note: scrittrici, traduttrici, pubbliche funzionarie, filosofe. Eccone i nomi: Barbara Allason, Lavinia Mazzucchetti, Alba de Céspedes, Natalia Ginzburg, Amelia Pincherle Rosselli, Bruna Talluri, Ada Prospero Gobetti Marchesini, Fernanda Wittgens, Maria Zambrano, Simone Weil, Virginia Woolf, Hannah Arendt.
I loro nomi, iscritti sui muri delle nostre aule, ci ricorderanno che la coltivazione di un pensiero critico non disposto a tradimenti è l’unica vera ragione per cui esiste l’università. E il prossimo 23 novembre, questo ce lo ricorderà con forza anche una seconda laurea honoris causa, attribuita a un’altra grande donna, Ludmilla Petruseskaja, insigne scrittrice e drammaturga russa, implacabile oppositrice del governo autoritario del presidente Putin e della sua guerra contro l’Ucraina.
Le cinque aule dedicate a donne non italiane ci ricorderanno che qua insegniamo che l’umanità non si divide a frontiere guardate con bandiere e cannoni. E tutte e dodici ci imporranno di ricordare che la storia dei maschi è solo metà della storia: e non è la migliore.
L’articolo 9 della Costituzione mette la ricerca e la cultura tra i principi fondamentali della Repubblica al fine di rafforzarne la tenuta democratica. E la cultura va intesa soprattutto come senso critico, come strumento per una consapevole resistenza al potere. La cultura che, come diceva Claudio Abbado, serve a giudicare chi ci governa.
D’altra parte, l’idea che attraverso la cultura ci si possa opporre alla concretezza ferrea di un presente dominato da un pensiero unico è stato un tratto fondamentale del nostro antifascismo. Già nel 1925 Carlo Rosselli aveva scritto a Gaetano Salvemini che “di fronte al progressivo consolidarsi del fascismo, la nostra sistematica opposizione corrisponde a un regolamento di conti fuori dalla storia: forse non avrà apparentemente nessuna positiva efficacia; ma io sento che abbiamo da assolvere una grande funzione, dando esempi di carattere e di forza morale alla generazione che viene dopo di noi, e sulla quale e per la quale dobbiamo lavorare”. Ecco, dunque, a cosa servono le dediche di queste aule: a dare esempi di carattere e di forza morale alla generazione che viene dopo di noi, e sulla quale e per la quale dobbiamo lavorare. Una bella definizione di università: anche troppo aderente ai giorni che ci è dato di vivere.
L’Aula Magna è oggi dedicata per sempre a una donna, e a una donna straniera: Virginia Woolf, che avrà così da noi ‘una stanza tutta per sé’ – la più importante di quelle che abbiamo. La qualità somma della sua letteratura, l’acutezza profetica della sua visione politica saldano nel modo più naturale le storie e i valori rappresentati in queste 24 aule. Abbiamo scritto sui muri dell’aula due citazioni dalle sue Tre ghinee di dedicate esplicitamente alla sua idea di università: “E poi, cosa si dovrà insegnare nell’università nuova? Certo non l’arte di dominare sugli altri, non l’arte di governare, di uccidere, di accumulare terra e capitali… ma l’arte dei rapporti umani, l’arte di comprendere la vita e la mente degli altri”. E “il modo migliore per aiutarvi a prevenire la guerra non è di ripetere le vostre parole e seguire i vostri metodi, ma di trovare nuove parole e inventare nuovi metodi”.
Mai come oggi sentiamo che nuove parole e nuovi metodi sono urgenti per fermare la guerra, per prevenirne di nuove e forse definitivamente distruttive. Ebbene, noi crediamo che l’università italiana debba ogni giorno assomigliare un po’ di più a quella immaginata da Virginia Woolf: l’unica che serve davvero.
*Tomaso Montanari è Rettore dell’Università per Stranieri di Siena. Il discorso è tratto dall’appuntamento che ieri si è tenuto in ateneo, con il conferimento della laurea honoris causa a Nadia Fusini e l’intitolazione delle 24 aule