il Fatto Quotidiano, 17 settembre 2022
L’Università per Stranieri di Siena ha intitolato 24 spazi della sua sede ai 12 professori che nel 1931 si rifiutarono di giurare fedeltà al Regime e a 12 grandi donne del ’900
È un’unica idea di università quella che proviene dalle due parti, distinte ma profondamente connesse, di questa ‘giornata particolare’.
Conferiamo la laurea magistrale honoris causa in Scienze linguistiche e comunicazione interculturale a Nadia Fusini, che rappresenta con rara pienezza l’essenza stessa dell’università: per la sua ricerca acuta e instancabile; per la sua didattica appassionata e generosissima; per una capacità davvero unica di parlare a tutte e tutti fuori dall’università (quella che chiamiamo la terza missione). Nadia Fusini rappresenta proprio quello che la Stranieri è, e, sempre più, vuole essere: perché concepisce e pratica la traduzione come arte del connettere e insieme del distinguere. La traduzione come chiave del dialogo tra le culture. La traduzione come strumento di costruzione di una umanità unica, senza confini e senza barriere (e senza guerre), ma fiera delle sue diversità.
Contemporaneamente imponiamo nuovi nomi allo spazio in cui si svolge il nostro lavoro. Dodici aule avranno i nomi dei dodici professori che nel 1931 non giurarono fedeltà al fascismo. Rispettiamo, e in alcuni casi veneriamo (penso a Piero Calamandrei), anche professori che per motivi diversi decisero, con la morte del cuore, di spergiurare fedeltà al regime, ma senza rinunciare a combatterlo. E tuttavia pensiamo che sia giusto (e oggi più che mai necessario) offrire alle nostre studentesse e ai nostri studenti l’esempio di chi, vedendosi chiedere di giurare di “formare cittadini … devoti alla Patria e al Regime Fascista” rifiutò, perdendo posto e stipendio: 12 su 1200, uno su cento. Furono Ernesto Buonaiuti (Storia del cristianesimo); Mario Carrara (Antropologia criminale e medicina legale); Gaetano De Sanctis (Storia antica); Giorgio Errera (Chimica); Giorgio Levi Della Vida (Lingue semitiche); Fabio Luzzatto (Diritto civile); Piero Martinetti (Filosofia); Bartolo Nigrisoli (Chirurgia); Francesco Ruffini (Diritto ecclesiastico); Edoardo Ruffini Avondo (Storia del diritto); Lionello Venturi (Storia dell’arte); Vito Volterra (Fisica matematica). Sono nomi che ci ricorderanno, scritti sulle porte delle nostre aule, che l’antifascismo iscritto per sempre nella Costituzione della Repubblica è la bussola morale del nostro lavoro, e che l’università è libera e autonoma rispetto a ogni potere. L’aula più grande sarà dedicata Giorgio Levi Della Vida, unico linguista (e dunque vicinissimo ai nostri studi) tra i dodici. Abbiamo scelto una sua frase, piena di dignità e insieme di amara ironia, da scrivere sul muro di quell’aula: “Per colmo di disavventura, la promulgazione delle leggi anti-ebraiche che nell’autunno del 1938 aveva estromesso dall’insegnamento un numero rilevante di professori ebrei, finì con l’annegare il mio caso nel loro, tanto più notorio e più lacrimevole, così che i più credettero e credono che io abbia perduto il posto a causa del mio sangue e non delle mie idee». Ecco, noi vogliamo proprio ricordare per sempre che il posto egli fu disposto a perderlo per le sue idee, potendo (ancora) scegliere di tenerlo se le avesse rinnegate. Ma seppe dire di no: e dire di no è una virtù che noi vogliamo insegnare a coltivare.
I dodici professori erano tutti maschi, come maschi erano quasi tutti i docenti delle università italiane di allora. E dunque abbiamo voluto scegliere anche dodici grandi donne, intellettuali e antifasciste, del Novecento. Alcune celeberrime, altre poco note: scrittrici, traduttrici, pubbliche funzionarie, filosofe. Eccone i nomi: Barbara Allason, Lavinia Mazzucchetti, Alba de Céspedes, Natalia Ginzburg, Amelia Pincherle Rosselli, Bruna Talluri, Ada Prospero Gobetti Marchesini, Fernanda Wittgens, Maria Zambrano, Simone Weil, Virginia Woolf, Hannah Arendt.
I loro nomi, iscritti sui muri delle nostre aule, ci ricorderanno che la coltivazione di un pensiero critico non disposto a tradimenti è l’unica vera ragione per cui esiste l’università. E il prossimo 23 novembre, questo ce lo ricorderà con forza anche una seconda laurea honoris causa, attribuita a un’altra grande donna, Ludmilla Petruseskaja, insigne scrittrice e drammaturga russa, implacabile oppositrice del governo autoritario del presidente Putin e della sua guerra contro l’Ucraina.
Le cinque aule dedicate a donne non italiane ci ricorderanno che qua insegniamo che l’umanità non si divide a frontiere guardate con bandiere e cannoni. E tutte e dodici ci imporranno di ricordare che la storia dei maschi è solo metà della storia: e non è la migliore.
L’articolo 9 della Costituzione mette la ricerca e la cultura tra i principi fondamentali della Repubblica al fine di rafforzarne la tenuta democratica. E la cultura va intesa soprattutto come senso critico, come strumento per una consapevole resistenza al potere. La cultura che, come diceva Claudio Abbado, serve a giudicare chi ci governa.
D’altra parte, l’idea che attraverso la cultura ci si possa opporre alla concretezza ferrea di un presente dominato da un pensiero unico è stato un tratto fondamentale del nostro antifascismo. Già nel 1925 Carlo Rosselli aveva scritto a Gaetano Salvemini che “di fronte al progressivo consolidarsi del fascismo, la nostra sistematica opposizione corrisponde a un regolamento di conti fuori dalla storia: forse non avrà apparentemente nessuna positiva efficacia; ma io sento che abbiamo da assolvere una grande funzione, dando esempi di carattere e di forza morale alla generazione che viene dopo di noi, e sulla quale e per la quale dobbiamo lavorare”. Ecco, dunque, a cosa servono le dediche di queste aule: a dare esempi di carattere e di forza morale alla generazione che viene dopo di noi, e sulla quale e per la quale dobbiamo lavorare. Una bella definizione di università: anche troppo aderente ai giorni che ci è dato di vivere.
L’Aula Magna è oggi dedicata per sempre a una donna, e a una donna straniera: Virginia Woolf, che avrà così da noi ‘una stanza tutta per sé’ – la più importante di quelle che abbiamo. La qualità somma della sua letteratura, l’acutezza profetica della sua visione politica saldano nel modo più naturale le storie e i valori rappresentati in queste 24 aule. Abbiamo scritto sui muri dell’aula due citazioni dalle sue Tre ghinee di dedicate esplicitamente alla sua idea di università: “E poi, cosa si dovrà insegnare nell’università nuova? Certo non l’arte di dominare sugli altri, non l’arte di governare, di uccidere, di accumulare terra e capitali… ma l’arte dei rapporti umani, l’arte di comprendere la vita e la mente degli altri”. E “il modo migliore per aiutarvi a prevenire la guerra non è di ripetere le vostre parole e seguire i vostri metodi, ma di trovare nuove parole e inventare nuovi metodi”.
Mai come oggi sentiamo che nuove parole e nuovi metodi sono urgenti per fermare la guerra, per prevenirne di nuove e forse definitivamente distruttive. Ebbene, noi crediamo che l’università italiana debba ogni giorno assomigliare un po’ di più a quella immaginata da Virginia Woolf: l’unica che serve davvero.
*Tomaso Montanari è Rettore dell’Università per Stranieri di Siena. Il discorso è tratto dall’appuntamento che ieri si è tenuto in ateneo, con il conferimento della laurea honoris causa a Nadia Fusini e l’intitolazione delle 24 aule