ItaliaOggi, 17 settembre 2022
Vivere in un Paese imbecille
Viviamo in un Paese imbecille, ormai retto da gente ipocondriaca e terrorizzata anche dalla propria ombra, ormai schiavo di burocrazie e norme assurde. Non ci credete? Vi racconto due cosuzze.
Scena prima: un venerdì, poco dopo le 12.10. Trafelato giungo con la Vespa al Comune, mi fiondo nell’ufficio anagrafe (che chiude alle 12.30) con le fotografie e tutto il necessario per la richiesta della Carta d’identità. Dentro l’ufficio siamo in quattro: io, una signora che esce quasi subito, le due impiegate. È il mio turno: «Buongiorno, queste sono le fotografie» «Ma lei che cosa deve fare?» «Mi è scaduta la carta d’identità, devo rinnovarla» «Oh no», mi risponde cortese la solerte impiegata, «Deve prenotarsi». E mi spiega la procedura: vado sul sito e scopro che il primo appuntamento disponibile è il 5 ottobre, cioè tra una mesata circa. E uno si chiede: ma io perché devo aspettare un mese intero se in ufficio non c’è nessuno ed è orario di ricevimento? Mah.
Seconda cosuzza. Dalla scuola arriva un foglio da compilare per mia figlia. Nome, cognome, dati dei genitori, classe… sì, autorizziamo l’uscita della minore (seconda media) che potrà andare a casa da sola, sì vi solleviamo da qualsiasi responsabilità, acqua e olio tutto a posto, poi… «Indicare il percorso che l’alunno effettuerà per andare e tornare da scuola». Ovviamente ci rido sopra, perché mia figlia non è nel programma protezione testimoni della Dia né, tantomeno, dell’Fbi, non viaggia sotto scorta e la scuola è vicino casa. Data, firma, e la pargola inizia l’anno scolastico portando il foglio con sé.
Verso le 9 del mattino del primo giorno di scuola squilla il telefono: «Pronto, sono la prof Taldeitali», e io già mi dico: «Che cos’avrà combinato la figliola in manco un’ora di scuola?» Motivo della chiamata: «Lei mi dovrebbe indicare il percorso che sua figlia farà per andare e tornare da scuola» E io intanto sto vedendo in testa Carlo Verdone nei panni di Furio Zòccano, il marito nevrotico di Bianco Rosso e Verdone. Vorrei rispondere: «Non ce la faccio più» come Magda, la moglie di Furio, ma in un soprassalto di dignità e realismo osservo: «Mi scusi, ma non le pare assurda una cosa del genere? Ma che senso ha?» «Ha ragione, però sa è per predisporre nel caso la vigilanza esterna, i vigili urbani».
In un paese di 10mila abitanti del profondo Nord in cui i ragazzini, come in tutt’Italia nel Ventunesimo secolo, hanno il telefonino appresso?
Percorso fisso? Certo: perché gli adolescenti sono come i muli, che calano la testa e fanno il percorso che vuole il padrone. Se poi, lungo la strada, si fermano da un amico o a giocare, o cambiano strada… eh no, c’era il tracciato indicato sul foglio, signora Longari lei mi è caduta sull’itinerario. E tutto questo mi viene chiesto da una scuola che non si assume responsabilità perché i genitori autorizzano la propria figlia a tornare a casa da sola; però i vigili urbani devono essere informati del percorso.
Decidetevi su quello che volete fare da grandi: o non vi assumete responsabilità, e quindi l’itinerario di mia figlia non vi riguarda; o ve l’assumete, e allora pretendo che me la riaccompagnate a casa. Ma vedi tu se devo perdere tempo con ’ste cose.
Nel 1990, a 10 anni d’età, iniziai a frequentare la scuola media a metri 1500 da casa. Percorrevo a passo svelto, andata e ritorno, un lungo viale di un paesone di 30mila abitanti del profondo Sud chiamato Vibo Valentia e un imbecille che incidentalmente era collega di mia madre le riferì che il sottoscritto «Andava come un fulmine». Mi beccai pure la cazziata perché a quanto pare “correvo” per strada. Vabbè. Avevo nello zaino 200 lire (euro 0,20 rivalutate ad oggi) per chiamare dal telefono pubblico e per il resto, nel tragitto tra casa e la scuola Media statale “Luigi Bruzzano” che oggi non esiste più, avrei potuto essere inghiottito da un poltergeist e nessuno l’avrebbe saputo: eppure sono qua, vivo e vegeto, e i miei genitori non hanno mai dovuto firmare mallevadorie, permessi, cartuscelle varie ed eventuali per mandarmi in giro. E ripeto: mia figlia, come tutti gli adolescenti nell’Italia del Ventunesimo secolo da Nord a Sud, viaggia con un cellulare al seguito. Ma questo, allo Stato mamma ipocondriaco e cavillosamente burocratico, nel quale il buonsenso è ormai andato a farsi benedire, non interessa. Devi indicare il percorso, manco fosse un giudice sotto scorta minacciato dalla mafia: e devi farlo senza ragionarci sopra. Bah.