ItaliaOggi, 17 settembre 2022
Orsi&Tori
«Sì», dice da Parigi il ceo Stéphane Boujnah, «il progetto Euronext è un progetto europeo creato nel 2000 e che ha visto la presenza e la partecipazione di Borsa Italiana a partire dall’anno scorso. È un progetto che va a riunire tutti i Paesi fondatori della Comunità Europea perché chiaramente operiamo anche nelle Borse di Oslo e Dublino, ma soprattutto Amsterdam, Bruxelles, Parigi, Milano. Quindi si tratta di un progetto destinato a modernizzare il mercato dei capitali e finanziare l’economia reale in Europa. E l’ingresso di Borsa Italiana l’anno scorso, in un contesto coerente con l’ambizione del Trattato del Quirinale fra Francia e Italia è un fatto assolutamente forte, importante, perché consente al mercato dei capitali italiano di inserirsi in questo puzzle di liquidità europea. In questa piattaforma europea. Cosa cambia? Cambia
semplicemente il fatto che ora Borsa Italiana lavora con un respiro molto più europeo. È legata alla governance federale del gruppo, in quanto il presidente del Consiglio di sorveglianza di Borsa Italiana è italiano. Il direttore finanziario è italiano e soprattutto in maniera più essenziale ormai i due più grossi paesi del sistema Euronext sono l’Italia, che rappresenta 1/3 del fatturato del gruppo, e la Francia…».
La difesa di Euronext da parte di chi la guida è ammirevole, naturale. Ma durante il grande evento MilanoParigiCapitali organizzato nei giorni scorsi dai media di Class editori, aggiungendo quest’anno Parigi a MilanoCapitali proprio per via del Trattato firmato dai presidenti Sergio Mattarella ed Emmanuel Macron, è emersa tutta la attuale debolezza del sistema, almeno dal lato italiano.
È vero che il peso dell’Italia è pari a 1/3 di tutto il fatturato di Euronext, ma semplicemente perché c’è il grande giro d’affari del mercato dei titoli di stato, che è grandemente alimentato dall’altissimo debito italiano. Sul piano del mercato dei capitali destinati allo sviluppo del sistema produttivo e all’utilizzo dell’enorme risparmio italiano, il saldo è addirittura in perdita. Proprio in questi giorni anche Exor, che è pur sempre la holding della più importante famiglia italiana, ha abbandonato la Borsa di Milano per rimanere quotata solo ad Amsterdam. Stessa sorte aveva avuto al momento della brillante operazione di fusione di Luxottica (montature per occhiali) con Essilor (lenti per gli occhiali). È vero che il controllo post fusione è stato nelle mani di Leonardo Del Vecchio e ora dei suoi eredi, ma Luxottica è scomparsa dal listino italiano e la nuova entità è quotata a Parigi.
È vero, ho detto a Boujnah nel nostro colloquio, che l’Europa economico-finanziaria esiste solo per la moneta unica, cioè l’euro, e che per il resto le normative fiscali, di diritto commerciale, sono una babele. E che quindi è vero che il suo lavoro si svolga in un ambiente sperequato, ma ciò che non è ammissibile è che all’interno del sistema Euronext, nato per creare un mercato europeo specialmente dopo l’uscita dall’Europa causa Brexit del London stock exchange, ci siano paesi piccoli come l’Olanda che fanno concorrenza alle altre Euronext con trattamenti semplificati e di favore per chi si quota ad Amsterdam. In questo modo Euronext non diventerà mai la borsa dell’Europa unita, ma una borsa multinazionale dove in ogni paese la normativa locale borsistica può e viene aggiustata per fare concorrenza alle altre borse locali.
Ha perfettamente ragione l’ex-presidente di Borsa italiana e ora presidente di Generali, il professor Andrea Sironi, quando pochi giorni fa nel convegno del Think Tank Bruegel ha dichiarato: «Sono perfettamente convinto che solo un mercato dei capitali veramente europeo, più liquido e integrato, sia lo strumento più importante per la crescita della nostra economia europea».
Ma se non vi è dubbio che la creazione di Euronext sia un passo avanti in questa direzione è altrettanto vero che è proprio Euronext che deve trainare l’unificazione, con la normalizzazione dei mercati europei. Non è accettabile ora che l’Italia ha deciso, non senza alcune perplessità, di abbandonare il London stock exchange, sia così penalizzata da perdere addirittura capitalizzazione per il trasferimento di aziende già quotate in altre borse del sistema.
Ha replicato, il ceo di Euronext: «Nell’ultimo anno si sono quotate in Italia una ventina di società, non meno di quante se ne sono quotare a Parigi».
È vero, monsieur Boujnah, ma sono state quasi tutte quotate all’Euronext growth, quindi in termini di raccolta di risparmio ben poca cosa, mentre l’Italia è il secondo paese al mondo per risparmio, che va per il 75% investito all’estero. Questo, proprio per la guerra e la crisi energetica, è il momento di fare davvero l’Europa anche nel mercato dei capitali. Se leggiamo che il presidente di Exor, John Elkann, dice che lascia Milano perché la quotazione ad Amsterdam costa meno ed è più semplice, non è solo questione di fisco e di diritto commerciale, è anche questione della libertà che Euronext di Amsterdam ha di fare concorrenza alle altre borse. Non le pare che i vertici di Euronext debbano far trovare un equilibrio?
«Il sistema Euronext verte su due principi operativi importanti. Il primo è un pool di liquidità unica, un portafoglio unico di ingresso e uscita verso un’unica piattaforma e un’unica tecnologia. Secondo principio è che noi incoraggiamo la quotazione di società locali sulle Borse locali; è la cosa più logica a livello operativo; quindi, che le aziende che entrano in Euronext entrino tramite la Borsa locale….».
Bene, ma il fatto è che aziende con tradizione italiana come le società eredi della Fiat e la stessa Luxottica, sono scomparse dal listino italiano che si assottiglia sempre di più…
«È vero che Milano, per quanto ci riguarda, è a livello borsistico meno competitivo, ma ora il programma di riforme avviato dalla direzione generale del Tesoro, dal ministro dell’economia Daniele Franco e dalla presidenza del consiglio è all’unisono con i vertici europei. Presto l’Europa potrà apprezzare la trasformazione e una maggiore flessibilità delle norme italiane… Quindi è vero che vi è una situazione che nei mesi e negli anni scorsi è stata a sfavore della Borsa di Milano, ma questo svantaggio si ridurrà sempre di più nei prossimi mesi».
Può essere questa una buona notizia, anche se si ha la sfortuna che il governo attuale a metà ottobre non ci sarà più. Io credo che come ceo di Euronext lei si debba impegnare in prima persona per la semplificazione delle quotazioni alla Borsa di Milano, ma dovrà fare in modo che non si determinino altre fughe. Euronext non può essere un servizio essenzialmente per Amsterdam. Dovrà essere aperto e gestito dai vertici di Euronext un preciso negoziato…
«Assolutamente».
È già qualcosa di importante questa sua risposta e anche se certo non può sostituirsi ai governi e in particolare a quello futuro italiano, credo convenga che proprio dopo il suo insediamento, lei chieda udienza al ministro competente e si faccia promotore di iniziative che favoriscano il mantenimento di larga parte del risparmio italiano in Italia attraverso la moltiplicazione di società che si quotano. Come sa, l’Italia è la patria delle pmi ed Euronext Growth Milano (per favore, non Milan!) deve arrivare ad avere mille, 2mila, 3mila società quotate. Euronext ha una missione, insieme alle autorità italiane, diffondere la cultura del mercato. Elite, creato ai tempi del London stock exchange, era una buona idea, ma ha prodotto poco. Chi faceva parte di Elite pensava in alcuni casi di essere di fatto quotato. Diffondere fra gli imprenditori e i risparmiatori italiani la cultura dell’investimento in formidabili pmi italiane è un lavoro da fare in profondità. Se Euronext vorrà cimentarsi, questo giornale e tutti i media di Class editori, a cominciare da Class Cnbc, il cui successo di ascolti è un segnale incoraggiante che qualcosa può muoversi, daranno il loro completo appoggio.
«Grazie».
* * *
I lettori saranno super annoiati dalla sequela di Orsi&Tori dedicati al mercato dei capitali (che non c’è) e alla necessità, non solo per combattere la crisi incalzante ma per un benessere più diffuso e duraturo nel paese, che la straordinaria benzina rappresentata dal grande risparmio italiano sia trattenuto in Italia. L’impegno di Euronext attraverso il suo Ceo è molto importante ed è importante che sia stato assunto nell’ambito del Patto del Quirinale e a pochi giorni dal voto.
Ma il disegno del mercato dei capitali e dello sviluppo economico, per rendere il debito enorme del paese meno pericoloso con lo sviluppo, oltre che con un taglio sacrosanto, è proprio la ricetta più semplice ed efficace che possa essere proposta. Ma negli infiniti discorsi, messaggi social, comparse televisive, comizi nelle piazze per le elezioni, avete sentito qualche politico che abbia menzionato la necessità di perseguire lo sviluppo economico non facendo investire il 75% del risparmio in strumenti esteri, di fatto finanziando lo sviluppo di economie straniere ancorché nella Ue? Non c’è altro paese, non solo europeo, che non consenta, non certo con una proibizione legislativa ma con la creazione di convenienze obbiettive e legali, l’investimento della larga maggioranza del risparmio nazionale nella economia dello stesso paese. Ciò che avviene in Italia ha cause precise: non esiste appunto un vero mercato dei capitali, cioè una vera borsa, trasparente ed efficiente, che possa attirare il risparmio che ora va all’estero. Ci sono trattamenti fiscali non incentivanti, ci sono inefficienze normative. La ricetta che qualsiasi governo dovrebbe adottare è elementare e la soluzione consentirebbe, attraverso lo sviluppo economico maggiore, addirittura un incremento delle entrate. La ricetta è di incentivare fiscalmente sia le aziende che si quotano, visto che raccogliendo risparmio italiano hanno l’obbiettivo di sviluppare la loro attività, sia i risparmiatori che rinunciano a investire all’estero.
È una politica nazionalista? No, è la più concreta per lo sviluppo dell’Europa, che ha bisogno di sviluppo complessivo, mentre l’Italia, essendo il terzo paese dell’Unione, rappresenta con il suo debito pari al 160% circa del pil una reale minaccia per tutta l’economia europea. L’Italia non è mica la Grecia, che non ha provocato danni al resto dell’Europa, essendo piccola parte dell’economia dell’Unione. Quel debito enorme italiano pesa sull’euro, sempre più svalutato sul dollaro, perché è l’Italia che finora ha costretto la banca centrale a stampare più moneta per acquistare titoli italiani. E occorre tenere conto che se i paesi cosiddetti frugali guardano con forte critica all’Italia, l’Italia e gli italiani non possono lamentarsene. Anche perché quei paesi sanno che il patrimonio pubblico italiano è enorme. Basterebbe attuare un taglio del debito passando ai privati, attraverso fondi immobiliari che la prima banca del paese, Intesa Sanpaolo è disposta ad organizzare sul territorio. Ci sono caserme, palazzi, fortezze, come quella di Firenze, che potrebbero permettere di raccogliere 200 miliardi da portare appunto a deconto del debito pubblico.
Tagliadebito, sviluppo del mercato borsistico e quindi dell’economia attraverso la quotazione di migliaia di aziende, trattenendo in Italia il grande risparmio italiano. Troppo semplice per quasi tutti i partiti, che preferiscono deviazioni esoteriche. (riproduzione riservata)