il Fatto Quotidiano, 16 settembre 2022
Vessicchio si lamenta perché la Rai paga e non lo fa lavorare
Ne avevamo già dato notizia sul Fatto, poi il maestro Beppe Vessicchio, musicista e icona del Festival di Sanremo, aveva diramato un comunicato in cui ringraziava le associazioni di settore, Afi, Getsound e Audiocoop e dicendosi “felice che entità di tale importanza abbiano riconosciuto le mie ragioni e intendano affiancarmi contro un colosso come Rai, ponendosi in difesa dei produttori, piccoli o grandi che siano, che hanno subito un trattamento a mio avviso assolutamente ingiustificabile dall’azienda pubblica”. In questa intervista, spiega il contenzioso relativo ai cosiddetti diritti “connessi” (da non confondere con i diritti d’autore) dovuti al musicista in qualità di produttore fonografico e proprietario di supporti discografici utilizzati in trasmissioni televisive diffuse da Rai.
Di quali trasmissioni parliamo, Maestro?
Ho composto le musiche della trasmissione La prova del cuoco fin dalla prima edizione: tutta la produzione musicale e le registrazioni che sono state utilizzate in quel programma (a partire dalla sigla che divenne un vero “tormentone”), è stata da me interamente realizzata e in piena autonomia
E cosa è successo poi?
Un giorno ho scoperto che oltre ai diritti d’autore che percepivo regolarmente, ero anche titolare del cosiddetto “diritto connesso” dovuto al proprietario del supporto discografico. Per intenderci: quando vengono trasmessi in radio, tv (in programmi), al cinema e in generale quando viene diffusa la registrazione di un brano (il “cd” o “file digitale” per essere ancora più chiari), gli autori dell’opera registrata maturano il “Diritto d’autore”, mentre il produttore fonografico (o proprietario del supporto su cui le registrazioni di quel brano sono state incise) e l’artista interprete che le ha realizzate, ripartiscono tra loro (al 50 per cento) un cosiddetto “equo compenso”. Nel contenzioso da me avviato partivo proprio dal fatto di poter rivendicare la proprietà materiale sui supporti utilizzati nel programma, di esserne il produttore fonografico e di poter rivendicare quei diritti “connessi” nella quota spettante al produttore stesso.
E la Rai come ha reagito?
Utilizzando un’espressione napoletana, diciamo che dopo due anni di “tarantelle” in cui sono passato da un funzionario all’altro, mi è stato comunque assicurato che il dovuto sarebbe stato corrisposto. Ma non sono mai andato oltre le rassicurazioni verbali. Così ho iniziato a scrivere raccomandate senza però avere risposte. Fino a quando mi sono presentato direttamente all’ufficio legale di Viale Mazzini dove mi è stato assicurato di non preoccuparmi visto che tramite le raccomandate ero in possesso di una traccia legale della mia azione.
E qui arriva la sorpresa?
Sì, dopo quell’incontro, al contrario di quanto detto di persona, ricevo una lettera proprio dall’ufficio legale di Rai, in cui si comunicava che la mia richiesta di diritti era campata in aria e addirittura mi si intimava di non proseguire nella mia azione altrimenti io sarei stato citato in giudizio. E successivamente mi è stato anche detto che tali diritti non mi sarebbero comunque spettati vista la natura del prodotto e dell’utilizzazione. Peccato che qualcuno quei diritti in realtà, al mio posto, li ha incassati.
Di che cifra parliamo
L’ammontare è piuttosto nebuloso, circolavano tabelle sul valore di questo diritto, ma senza riferimenti precisi. Nel mio giudizio, i miei legali hanno anche richiesto l’intervento di un perito per una valutazione oggettiva. Mi risulta sia una cifra importante, ma di qualunque cifra si tratti credo sia sacrosanto che io la incassi.
Dopo la sua azione di risarcimento ha subito qualche conseguenza?
È scattata la clausola (“deterrente”, la chiamo io) secondo la quale chi ha contenziosi con la Rai non può avere contratti in essere diretti con l’azienda. E così non ho potuto partecipare a molti programmi, perché l’ufficio legale è intervenuto sull’ufficio scritture artistiche (che stipula i contratti con gli artisti e gli ospiti) ponendo uno stop alla mia presenza.
Ad esempio?
Le cito solo l’ultimo; di recente sarei dovuto essere presente a Le parole della settimana, il programma di Massimo Gramellini che vede Roberto Vecchioni ospite fisso: la mia sarebbe stata una partecipazione gratuita, ma nonostante gli accordi già presi con la produzione, al dunque l’ufficio scritture artistiche ha detto di no. L’assurdo è che tuttavia, se lo stesso contratto (o un altro) fosse stato stipulato con una società che avesse prodotto la stessa trasmissione per conto di Rai o che avesse concesso a Rai i diritti di trasmissione, quel veto non sarebbe più intervenuto: quasi come a dire, “non sono io a sporcarmi le mani, procedete pure…”.
Perché la Rai si comporta così?
Mi sono fatto tante volte questa domanda. Credo che una delle paure possa essere quella di non voler rischiare di scoperchiare un “vaso di Pandora”. Credo siano in molti a trovarsi nelle mie stesse condizioni. Conosco chi questi diritti li ha incassati e anche chi non li ha mai visti.
Cioè?
Il dovuto è ineludibile per legge. E, come dicevo, qualcuno quei diritti li ha riscossi al mio posto, dichiarandosi a Rai stessa (che deve liquidare i diritti connessi, in quanto soggetto che ha utilizzato le registrazioni) proprietario di quelle registrazioni. C’è bisogno di far luce su questa situazione. Sono molto contento delle adesioni di Afi, Getsound e Audiocoop perché hanno capito che la Rai sta negando un principio e che questo potrebbe creare problemi all’intera categoria. E infatti il loro intervento è in adesione al solo principio di diritto da me sostenuto, non anche nel merito (cioè quale sia l’entità dell’importo a me spettante che giustamente a loro interessa relativamente).
Quindi ormai la parola spetta al tribunale?
Assolutamente sì. Intendo andare avanti fino in fondo a questa faccenda, nonostante io sia un “pesce piccolo”; rispetto ad altri potrei più facilmente temere le conseguenze dettate dalla lunghezza e dai costi di un iter giudiziario nonché dalla perdita di contratti. È chiaro che non ho il potere di una intera associazione di categoria o di un’etichetta discografica. Ma desidero che la verità venga fuori: se avevo torto o meno non deve deciderlo la Rai.
Quindi non la vedremo sugli schermi?
Al momento no. Ho avuto proposte che riguardano programmi realizzati per Rai in appalto (come le dicevo prima, in quei casi il veto non c’è). Al momento sto lavorando per il cinema, per un film davvero importante. La televisione però continuo a guardarla, nonostante tutto.