La Stampa, 16 settembre 2022
Rubati gli organi alle vittime della strage di Nizza
Lo scrittore Thierry Vimal e la moglie l’hanno scoperto solamente due anni dopo la tragedia, trovando per caso un documento dove si certificava che gli organi della figlia 12enne Amie, una delle 86 vittime dell’attentato jihadista di Nizza del 2016, erano stati prelevati durante un’autopsia e conservati per l’inchiesta. Pensare di averla sepolta senza il cervello, il fegato o addirittura le corde vocali ha fatto ripiombare la coppia in quell’incubo già vissuto sei anni fa. Ma poi è arrivata anche la voglia di conoscere la verità, la stessa delle tante famiglie che si sono ritrovate in una situazione simile e oggi sperano di ottenere una risposta definitiva dal processo cominciato il 5 settembre al Palazzo di Giustizia di Parigi.
Quattordici in tutto i corpi dai quali sono stati estratti gli organi, tra cui anche quelli di quattro bambini. Ad una ragazzina di sei anni è stato tolto addirittura l’utero, mentre dei cadaveri sono stati letteralmente svuotati. «Non abbiamo mai ottenuto spiegazioni che giustificassero questi prelievi massicci», diceva prima dell’inizio delle udienze Virginie Le Roy, legale dell’associazione Promenade des Anges, nata per sostenere i sopravvissuti e i familiari di chi ha perso la vita la sera del 14 luglio di sei anni fa, quando il 31enne tunisino Mohamed Lahouaiej-Bouhlel travolse la folla riunitasi sul lungomare di Nizza per la festa nazionale a bordo di un camion, prima di essere abbattuto dalla polizia.
Più che risposte, in questi anni le autorità hanno fornito giustificazioni, sempre parziali e spesso contraddittorie, arrivando a sostenere che i prelievi erano stati effettuati per difendersi da eventuali denunce. Alla lotta per conoscere le vere ragioni di quello che agli occhi di molti è sembrato un inutile scempio, si è affiancata la lenta procedura burocratica lanciata dalle famiglie per riottenere gli organi, che ad eccezione di quelli appartenuti a tre vittime, restano tutti ancora sotto spirito sugli scaffali di qualche istituto nell’attesa di essere sepolti insieme al resto del corpo.
Per questo era particolarmente attesa la deposizione fatta mercoledì da Gerald Quatrhomme, medico oggi in pensione che in quei drammatici momenti si trovava a dirigere l’istituto legale di Nizza. Il dottore ha ricordato la «scena di guerra» che si presentava sotto i suoi occhi, quasi «irreale» con tutti quei «lenzuoli neri allineati» uno dopo l’altro. Un’emergenza che mobilità un centinaio di persone all’istituto, tra medici, segretari e volontari venuti per aiutare un’équipe composta generalmente da non più di una decina di membri.
Incalzato dall’avvocata dell’associazione, che nel processo si è costituita parte civile, Quatrhomme ha spiegato che le autopsie erano state richieste dall’allora procuratore di Parigi, François Molins, solamente in tre casi: quando c’erano dubbi sulle cause del decesso, per le vittime che erano state inizialmente ricoverate e nei casi in cui c’era il sospetto di morte causata da colpi di arma da fuoco. Il medico si è poi assunto la responsabilità di aver chiesto il prelievo degli organi interi e non di una parte come spesso accade in questi casi: «Ho dovuto prendere molte decisioni in una situazione di estrema emergenza, nel bel mezzo di continue sollecitazioni». Normale procedura, quindi, che non chiarisce la necessità di simili operazioni. Inutili gli sforzi di Le Roy, che è andata dritta al punto chiedendo «l’utilità» di una procedura come questa ai fini dell’inchiesta, come se ci fosse bisogno di capire perché sono morte delle persone rimaste schiacciate da un camion di 19 tonnellate lanciato a 90 chilometri orari. Ma soprattutto, capire le ragioni di un’operazione così massiccia che ha portato al prelievo di 173 organi in tutto. Niente da fare, gli ordini sono ordini soprattutto in un momento così delicato. Con una freddezza che a tratti ha irritato Le Roy, Quatrhomme si è barricato dietro al «protocollo», ricordando i tempi stretti e le condizioni eccezionali di una simile situazione, dove i medici hanno dovuto ricostruire i volti e le mani di alcune delle vittime per renderle presentabili alle famiglie. Ma molti dei corpi sottoposti ad autopsie sono stati rovinati proprio dalle cicatrici provocate dalle estrazioni, tanto da non poter essere salutati un’ultima volta nemmeno dai propri cari.
Stesso atteggiamento quando gli è stato chiesto perché non a tutte le famiglie è stata data la possibilità di opporsi alle autopsie, come hanno solamente due coppie di genitori: «Spetta alla Procura dare informazioni. Noi non possiamo comunicare con nessuno nell’ambito di un’inchiesta». Un muro di gomma che l’associazione spera di riuscire ad infrangere nelle prossime udienze, soprattutto con la deposizione della procuratore Molins. La lotta, intanto, continua almeno fino a metà dicembre, quando il processo giungerà al termine, nella speranza di avere a quel punto una risposta definitiva.