La Stampa, 16 settembre 2022
Moby Prince, il mistero della terza nave
È stato il disastro più raccapricciante della marineria italiana, la collisione tra il traghetto «Moby Prince» e la petroliera «Agip Abruzzo», nel porto di Livorno. Accadeva la sera del 10 aprile 1991. E dunque: un normale traghetto di linea misteriosamente urtò una petroliera che si trovava dove non avrebbe dovuto e prese fuoco. Quella sera si piansero 140 morti. Da trentuno anni ci si interroga su come sia stato possibile. E ora, in chiusura di legislatura, arrivano le clamorose conclusioni di una commissione d’inchiesta: c’era una terza nave misteriosa in rada, e fu proprio per evitarla che il comandante del traghetto virò precipitosamente.
Non fu un errore, bensì una manovra d’emergenza. Solo che in questo modo la «Moby Prince» andò a sbattere contro la petroliera, che incredibilmente si era resa invisibile. «Per evitare la collisione certa con questa terza nave - ha spiegato il presidente della commissione, Andrea Romano, Pd - la "Moby Prince" effettuò una manovra di emergenza che la portò a collidere con la petroliera "Agip Abruzzo", che si trovava in una zona dove non doveva trovarsi e che in base alle nostre indagini e valutazioni era invasa da una nube di vapore acqueo, provocata da una possibile avaria dei sistemi che producevano vapore. Insieme a questo era stata colpita da un black-out tale da renderla di fatto invisibile agli occhi della Moby Prince».
Sono conclusioni assolutamente nuove e che contraddicono le verità giudiziarie, che finora avevano dato la colpa dell’incidente a una misteriosa nebbia e un inspiegabile errore del comandante. Invece no. Ci si basa ora su una perizia effettuata da un brillante studio di ingegneria navale che apre nuovi scenari. «Purtroppo - dice ancora Romano - non siamo in grado di identificare la terza nave, ma diamo due piste su cui eventualmente lavorerà chi vorrà farlo».
Una pista porta alla nave "21 October II", un ex peschereccio battente bandiera somala, che sembra essere stato a Livorno per riparazioni dopo un incidente a Zanzibar. L’altra a una o più bettoline (imbarcazioni di piccole dimensioni che effettuano servizio di trasporto di merci o di liquidi verso navi più grandi in ambito portuale) a cui si fa riferimento nelle comunicazioni radio. Ma la fantomatica bettolina potrebbe essere stata la stessa nave somala, chissà.
Ricostruisce Romano: «Il comandante della petroliera nei primi momenti dice: "Ci è venuta addosso una bettolina"». Poi però ci sono anche altri aspetti inquietanti, «come quello di un tubo che fuoriusciva dalla "Agip Abruzzo" e che potrebbe, uso il condizionale, rimandare ad attività di bunkeraggio clandestino in cui avrebbero potuto essere coinvolte delle bettoline». Bunkeraggio clandestino, ovvero contrabbando di petrolio. Forse il mistero della «Moby Prince» è tutto qui: in un’attività criminale nel porto di Livorno, il furto del petrolio dalla grande petroliera dell’Ente di Stato. In traffici di bettoline che facevano di tutto per nascondersi, a costo di mettere a rischio la navigazione dei traghetti di linea. E anche l’avaria che avrebbe reso invisibile la «Agip Abruzzo» acquista un sapore diverso.
Tutto quello che ne è seguito, depistaggi, false piste, processi imbastiti in fretta e furia, ipotesi campate in aria, sarebbe allora un gigantesco tentativo di nascondere le tracce. E finora ha funzionato egregiamente. A dispetto di quel che si disse agli inizi, la commissione parlamentare ha reso onore all’equipaggio, che fece il suo dovere fino in fondo, avendo «raccolto tutti i passeggeri nel salone». Un comportamento «di valore e coraggio straordinari. I membri dell’equipaggio, infatti, sono eroicamente rimasti ai posti assegnati, nel tentativo disperato di salvare i passeggeri con loro imbarcati». E infatti quella sera morirono tutti, i 65 membri dell’equipaggio (salvo il caso fortunatissimo di un mozzo) assieme ai 75 passeggeri.
L’Eni, invece, non ha brillato per collaborazione con il Parlamento. «Questa Commissione ritiene di biasimare - si legge - il comportamento di Eni, connotato di forte opacità». Continua a non spiegare l’effettiva provenienza della petroliera, quale carico era realmente trasportato, quali le attività svolte in rada. E non ha giovato alla verità l’accordo assicurativo sulla collisione, siglato nell’immediatezza dei fatti «per la rappresentazione dei fatti prospettata e che in seguito fu accolta dall’autorità giudiziaria».