la Repubblica, 16 settembre 2022
Patrick Radden Keefe racconta lo scandalo degli oppiacei
Droga di Stato, in sostanza. Non nel senso che le autorità americane promuovevano la distribuzione degli oppiacei, ma i difetti strutturali del sistema di controllo aiutavano le case farmaceutiche a spingere sul mercato prodotti potenzialmente letali per i pazienti.
Leggendo tra le righe del libroL’impero del dolore di Patrick Radden Keefe, pubblicato in Italia da Mondadori, si capisce questa raggelante verità. Oltre a conoscere la vergognosa storia della famiglia Sackler e la loro azienda Purdue Pharma, in bancarotta per aver contribuito all’epidemia di oppiacei, che ha ucciso mezzo milione di persone negli Usa.
L’inizio del libro è dedicato al capostipite della famiglia, Arthur, morto prima del lancio di OxyContin, l’antidolorifico a base di ossicodone che ha fatto guadagnare miliardi ai Sackler, uccidendo migliaia di pazienti diventati dipendenti. Perché?
«Il mio non è un libro sulla crisi degli oppiacei, ma sulla storia della famiglia Sackler. Arthur è la personache ha cambiato l’industria, e molte tecniche usate per vendere l’OxyContin le aveva inventate lui».
Quindi ha cambiato l’industria, ma per il peggio?
«Esatto. Con lui gli interessi commerciali hanno dirottato la medicina, a partire dagli anni Cinquanta, quando aveva promosso il Valium. Ha cambiato l’interazione tra medici e pazienti. Ma quando nella stanza con loro si siedono anche gli interessi commerciali, la situazione si fa molto pericolosa per i malati».
Il problema va oltre gli oppiacei?
«Assolutamente. Non suggerisco che l’OxyContin sia bandito, perché è utile per alcuni pazienti, ma il marketing deve essere diverso».
Perché Richard Sackler aveva deciso di spingere questo farmaco?
«L’avidità non è l’unico fattore, hanno pesato molto anche arroganza e irresponsabilità. Giocare a fare Dio.
Da migliaia di anni sapevamo che gli oppiacei hanno due caratteristiche: cura del dolore e dipendenza. I Sackler hanno avutol’arroganza di pensare che potevano separare le due cose, sbagliando».
Quando hanno capito i danni che stavano facendo?
«Abbastanza presto, perché i pazienti avevano iniziato a morire un paio di anni dopo il lancio. La compagnia doveva saperlo, grazie ai suoi rappresentanti che visitavano comunità, medici, infermieri, e ospedali per vendere il prodotto, ma non ha mai fatto uno studio o uno sforzo per cambiare ilmarketing».
I Sackler negano ancora ogni responsabilità.
«Dicono che hanno prodotto una medicina utile: se è stata abusata, la colpa è dei pazienti. Un po’ come i produttori di armi, quandosostengono che non sono i fucili ad uccidere, ma le persone che li usano.
È stata la mossa più cinica della famiglia, quando sapevano che morivano anche dei bambini».
La Food and Drug Administration però aveva approvato il farmaco in pochi mesi, e Curtis Wright, che aveva gestito l’esame, era stato poiassunto da Purdue con uno stipendio di 400.000 dollari all’anno. Corruzione individuale o problema strutturale?
«Assolutamente strutturale. La corruzione sistemica, che consente di fare quello che hanno fatto. A cominciare dalla “regulatory capture”, ossia l’assunzione dei regolatori da parte delle ricche aziende regolate».
È una tendenza iniziata con la “rivoluzione reaganiana”?
«Certo. La forte filosofia libertaria secondo cui il governo è il male, mentre industria e mercato fanno sempre e solo cose giuste».
Droga di Stato, o quanto meno tollerata?
«Non al punto che lo Stato la promuove, perché l’epidemia degli oppiacei costa trilioni di dollari alla sanità pubblica, ma certamente c’è una forte tendenza a pensare che persone bianche, laureate ad Harvard, col camice, non possono condurre attività criminali come lo spacciatore nero all’angolo della strada».
Perché anche la giustizia si è mossa così lentamente?
«Prima di tutto un fallimento nell’immaginazione da parte delle autorità. Poi la corruzione soft delle case farmaceutiche e i loro avvocati.
Quindi la tendenza in base a cui quando viene commesso un reato dai colletti bianchi l’azienda si assume la colpa, paga una multa, ma nessun essere umano finisce in prigione».
Il giudice Drain che ha gestito la bancarotta di Purdue, dopo decine di cause da tutti gli stati, è corrotto?
«Non credo, ma aveva fin dal principio un punto di vista moltoforte favorevole all’azienda. Questo è l’altro problema: nei procedimenti di bancarotta le compagnie possono scegliersi il giudice che preferiscono per gestirle. Così cercano quelli più compiacenti. Ora New York ha cambiato, introducendo la lotteria, ma è una riforma che va estesa a tutto il paese».
Cosa bisogna fare per evitare che si ripetano casi simili?
«Le riforme del sistema di cui abbiamo parlato. Poi i pazienti devono diventare più scettici, ma non al punto di rigettare tutto quello che viene dalle aziende farmaceutiche, sennò cadiamo nella follia opposta di chi oggi rifiuta i vaccini contro il Covid».
I Sackler, oltre alla bancarotta di Purdue e la sua dissoluzione in una “public-benefit corporation”, hanno accettato un accordo con cui pagheranno alle vittime 6 miliardi di dollari, senza però ammettere alcuna colpa. Come lo giudica?
«È una conclusione insoddisfacente.
Sei miliardi sembrano molti, ma non lo sono, per la grandezza del danno e il fatto che la famiglia ha incassato 11 miliardi. Si è impegnata a pagare in 19 anni, e quindi potrà farlo con i soli interessi sul capitale».
Quindi la storia è finita?
«Per i Sackler credo di sì. Ma ci sono molte altre aziende con grandi colpe simili, che verranno fuori».