Corriere della Sera, 15 settembre 2022
Nando Dalla Chiesa ricorda il padre
«Perfino le mie sorelle Rita e Simona ignorano questa storia, o almeno i suoi veri dettagli. Anche se forse si tratta di una piccola, minuscola storia di famiglia».
Un parco di Milano. Brindisi con succhi di frutta, labrador in libertà, aria lieta, odore d’erba tagliata. Il professor Nando dalla Chiesa accompagna con una telecronaca il nipotino – maglietta verde dell’Irlanda – che rincorre un pallone dopo la festa per il compleanno. «Credo siano il luogo e il momento giusti. Mi preparo alla chiusura di un cerchio: da una parte i carabinieri e dall’altra l’università con la firma di un accordo in Statale, facoltà di Scienze politiche, per un nuovo percorso di studi all’interno del Dottorato di ricerca sulla criminalità organizzata che ho fondato. Tutto questo succede nel quarantesimo dall’assassinio di papà, che mi voleva carabiniere. E io lo feci, il carabiniere: ufficiale di complemento, a Palermo, anni 1972 e 1973, mentre portavo avanti la tesi di laurea in Bocconi, sulla mafia. Papà credeva, sperava che continuassi dopo la leva. Ma avevo in testa sociologia. Certo, la sociologia che fabbricava i terroristi, gli stessi che lui contrastava».
Decisione sofferta, decisione ineluttabile. «Mi aiutò mamma: preparò il terreno. Dopo la laurea ero andato a Londra, nel centro studi di una banca, aiutato da mio zio. Papà pensò che avrei quantomeno intrapreso quel percorso. Non c’era verso: solo e soltanto sociologia. Rifiutai di restare, e tornato in Italia glielo comunicai. Mi aiutò dandomi dei soldi, per mantenermi. Non era d’accordo – anzi ci rimase malissimo —, eppure tacque. Ripresi con i libri, iniziai a fare supplenze negli istituti tecnici. Un docente mi diede subito il benvenuto: “Tra poco sarai orfano”. Una volta mi ricoverarono in ospedale. Sentii un medico bisbigliare alla collega: “Com’è che si chiama? Sarà mica il figlio di quello là? Fosse per me, non uscirebbe vivo”. Definivano papà il “generale della repressione”, e noi eravamo i suoi figli, ugualmente dei nemici, delle persone da odiare e tener lontano. In più, lo ripeto, io volevo fare il sociologo, e sappiamo chi per esempio frequentava l’università di Trento... Papà disse che con la sociologia avrei fatto sempre le stesse cose; disse che era come fare bicchieri giorno dopo giorno, gli stessi identici bicchieri, rinunciando a ogni minima arte creativa, perdendo la possibilità di partecipare alla complessa grandiosità del mondo». E aveva ragione? «Non all’epoca. Però oggi, per poter percorrere una carriera universitaria, ai giovani vengono chiesti un’esasperata settorialità priva di uno sguardo d’insieme e specialismi che indeboliscono, soffocano, al contrario di caricare d’energia».
Ma il professor dalla Chiesa, alla pari del padre, possiede l’intoccabile fiducia nelle nuove generazioni e la devozione a questa privilegiata causa di sostenere i ragazzi; e possiede la consapevolezza che noi siamo in gran parte i nostri genitori, e che alla fine i cammini s’incrociano. Prima, durante oppure dopo non importa: s’incrociano comunque. Per meriti propri, per merito del prossimo, per coincidenze. «Vede, alcuni generali dell’Arma, che davvero non conoscono affatto questo mio racconto personale, hanno intuito la possibilità d’intersecare virtualmente papà e me, sposando l’idea del progetto».
Nel percorso di studi, i carabinieri saranno sia studenti sia insegnanti, in una lettura contemporanea dell’arte dell’investigazione, in uno scambio costante, in una necessaria contaminazione tra l’azione sul campo e una preparazione accademica della materia. Non poteva che avvenire a Milano, e non per mere questioni logistiche legate alla sede dell’ateneo: qui i carabinieri hanno intrapreso con passione un’«indagine» (non scontata) della memoria sull’intenso periodo di Carlo Alberto dalla Chiesa, dalle sue operazioni contro la mafia alle tecniche per infiltrarsi nei brigatisti, dal governo della truppa alla gestione dei confidenti e dei pentiti. Dopodiché, il professor Nando dalla Chiesa, ancorato al pudore, non ne fa cenno. Ma in questo «incontro» con suo papà, da quella leva palermitana all’odierna firma in Statale, non possiamo non respirare l’accompagnamento della moglie Emilia, scomparsa un anno fa. Chi ha avuto la fortuna di star con loro nel tempo, li ha visti perennemente abbracciati. Un’altra istantanea di questa «piccola, minuscola storia di famiglia».