Corriere della Sera, 15 settembre 2022
In viaggio con Giuseppe Conte
«Fate largo che arrivano i percettori». Francesco Papagni, capelli bianchi racchiusi in un codino, sigaro in bocca e maglietta risalente allo Tsunami Tour del 2013, un’era geologica fa, si presenta in via Aldo Moro animato dalle peggiori intenzioni. Lui, che contribuì a fondare il primo Meet up di Bisceglie, non sopporta tutte queste facce nuove in attesa. «Lo vedi quello? Percepisce. E quell’altro ancora seduto al tavolo del bar? Percepisce pure lui. Gente che sale sul carro del benefattore, altro che ritorno alle origini».
Le persone indicate dal loro concittadino fanno cenni di assenso accompagnati da sorrisi ironici. Non abbiamo nulla da nascondere, dicono alcune di loro, neppure troppo velatamente accusate di essere adepti del nuovo corso dei Cinque Stelle in quanto destinatari del reddito di cittadinanza. Ma basta mezzora di attesa per capire che c’è di più, molto di più, in questa reviviscenza non del M5S, ma di Giuseppe Conte. Mentre è in arrivo da Brindisi, dove ha cominciato una visita capillare nella sua Puglia che molti considerano anche il suo fortino, la strada si riempie. Così tanto che il nostalgico Papagni diventa un puntino indistinguibile, e la sua protesta si perde tra le grida di entusiasmo della folla. Se la campagna nordista dell’ex premier è fatta di tappe simboliche, la visita all’azienda veneta di energie rinnovabili e al cantiere fermo causa Superbonus mancato, quella in Meridione si basa su un rapporto quasi fisico con i propri sostenitori. Una simbiosi che Conte dimostra di gestire con una sicurezza niente affatto scontata, per chi conserva ancora di lui l’immagine della sua vita precedente.
Il programma di giornata prevede una passeggiata di appena 130 metri, ma diventa subito chiaro che ci vorrà un’ora buona a percorrerli. Appena sceso dall’auto un militante gli mette sotto al naso la sua creazione, una pizza formato Sacra Sindone con sopra il viso del nuovo capo pentastellato riprodotto a pomodoro e mozzarella. Conte ha l’aria stanca, che dissimula bene tenendo gli occhi spalancati. La calca è tale che è quasi impossibile muoversi. Una donna gli porge la figlia piccola chiedendogli «una benedizione», che il leader del Movimento impartisce con il giusto imbarazzo ponendo le sue mani sulla testa della bambina. «Posso abbracciare un galantuomo?» gli chiede un signore anziano. Lui apre subito le braccia. Sono passati trenta minuti, avremo fatto al massimo venti metri. Conte incassa la testa tra le spalle e cerca di avanzare, come fanno i giocatori di football americano. Ma è una lotta vana. Appena risale in macchina, si cambia la camicia bianca. A fine giornata, ne avrà sudate altre tre, sempre della stessa tonalità. Quando comincia la giornata con un colore, lo indossa fino in fondo, lo stesso vale per il dilemma camicia o Lacoste.
«Tu ci hai fatto avere 500 miliardi, tu ci hai regalato il reddito e il Superbonus, tu devi governare». All’ingresso nella piazza Cesare Battisti di Trani, un militante lo accoglie con queste parole. Sotto il tendone del ristorante «Cottura media», Conte riesce finalmente a parlare interrompendo di imperio i cori «Beppe Beppe». La sua mutazione ormai si è completata. L’aspirante statista con l’eloquio da riserva della Repubblica è diventato un tribuno che interpreta la parte dell’eroe solo contro tutti. «Abbiamo contro i poteri forti. Ci ostacolano, perché le nostre proposte non sono fatte per arricchire i grandi gruppi editoriali o industriali, ma per aiutare il popolo. Ma la nostra missione è quella andare controvento».
È cambiato Conte, è cambiato il pubblico che lo segue. I vecchi attivisti M5S che portavano ai banchetti le loro proposte spesso bizzarre per migliorare la società sono stati sostituiti da gente più comune e forse più rassegnata. Una platea in parte nuova, alla quale vengono proposte parole tutto sommato antiche. I toni dell’uomo che è stato per tre anni abbondanti a Palazzo Chigi, governando con ogni possibile alleato, ricordano quelli dei cari vecchi Vaffa day, solo con meno turpiloquio. È un grillismo senza Beppe Grillo, evaporato chissà dove, mai citato dal protagonista, mai nominato dalla platea. Nella piazza del Duomo di Trani, l’apparizione di due bandiere con sopra il nome del comico genovese creano un effetto straniante. Come guardare la teca di un museo. Ah già, c’è stato un tempo in cui qui era tutto Beppe Grillo.
«Dacci la pace, Giuseppe». Chiedete e vi sarà detto. Funziona sempre così, Conte si limita a spingere il pedale fino in fondo. Alla coppia avvolta nella bandiera arcobaleno che dietro la cattedrale di Barletta interrompe il suo elogio del Superbonus, risponde dicendo che «se ci votate, avvieremo un negoziato di pace come mai è stato fatto finora». E poi salario minimo per tutti, implementazione del reddito di cittadinanza, taglio del cuneo fiscale. Ma non sono le promesse che contano, non oggi almeno. Quel che resta di una giornata densa come poche altre è «questo vento di rinnovato entusiasmo che soffia dal basso», per dirla con parole sue. Conte appare meno stanco di prima, quasi fosse stato rigenerato. Dai selfie, dai cori, dal contatto con gli altri. «Votatemi per quel che sono stato e per quel sono oggi» dice nella via centrale di Andria, dove non c’è più spazio per uno spillo. E con quest’ultima frase dimostra di avere capito molto del Paese che vive in un eterno presente.