Corriere della Sera, 15 settembre 2022
Le sanzioni intralciano le vie dei fondi occulti russi
Il messaggio dell’amministrazione americana sui milioni di dollari spediti da Mosca ai partiti amici torna a porre le sanzioni al centro dell’agenda europea. Ma non in vista di allentamento della presa su Mosca, date anche le modalità usate per i finanziamenti occulti da parte del servizio segreto putiniano per le attività estere (Svr). Proprio le misure prese a Bruxelles negli ultimi sei mesi stanno infatti intralciando i canali russi di sostegno a certi politici europei.
Il denaro di Mosca spesso viene fatto pervenire ai partiti beneficiari attraverso il commercio internazionale. Ad alcuni esportatori verso la Russia è stato permesso di fatturare somme ben al di sopra del valore di mercato delle loro merci, in modo da creare fondi da girare ai partiti beneficiari sotto la forma di donazioni di un imprenditore a una forza politica del proprio Paese. Le sanzioni spezzano questo ingranaggio, perché riducono l’export europeo in Russia (proprio per questo la diplomazia americana segue con sospetto ogni richiesta di allentamento delle misure). Dasha Zarivna, portavoce dell’ufficio del presidente ucraino Zelensky, dice al Corriere: «La mia impressione personale è che le sanzioni abbiano creato molte difficoltà per queste operazioni». Sembra dunque probabile che nei prossimi mesi torni all’agenda di Bruxelles una stretta contro Mosca o almeno una difesa delle decisioni già prese. In primo luogo perché lo chiede l’Ucraina, ora che l’indebolimento del complesso militare industriale russo diventa percepibile sui campi di battaglia. Andriy Yermak, capo dello staff di Zelensky, ha detto venerdì che «proprio ora che chiediamo ai nostri partner di aumentare le sanzioni, parlare di un allentamento sarebbe sbagliato. Per caso i russi stanno rallentando l’offensiva o hanno smesso di uccidere degli ucraini?».
Di certo la strada resta lunga, perché nei dispositivi di Bruxelles volti a minare finanziariamente il sistema putiniano restano falle visibili. Il caso più singolare riguarda Alexei Miller, esecutore del ricatto del gas di Vladimir Putin contro l’Europa in quanto amministratore delegato di Gazprom. Ancora oggi Miller non è nelle liste delle sanzioni europee: i suoi beni non sono sequestrati e lui stesso può viaggiare nell’Unione Europea come qualunque suo connazionale. Il motivo è noto a molti nei palazzi di Bruxelles: l’Ungheria di Viktor Orbán mette un veto alle sanzioni contro Miller (e ha appena firmato un ottimo accordo di fornitura con Gazprom). Per ora al riparo dalle sanzioni sono anche Vladimir Potanin, l’uomo considerato più ricco della Russia con patrimonio stimato da Forbes in 24,4 miliardi di dollari, e il tycoon del gas Leonid Mikhelson (detentore di un patrimonio simile). In questo caso il veto sembrerebbe arrivato da Parigi, secondo alcuni osservatori europei. Di certo il ruolo di Potanin è strategico per la fornitura di nichel all’industria dell’auto europea e Mikhelson ha accordi con la francese Total. L’Ungheria ha poi salvato anche il tycoon dei treni Andrei Bokarev.
Le stesse sanzioni sulle banche rivelano ancora buchi nella rete. E non solo perché gli istituti colpiti da Bruxelles sono appena nove, su circa 750 utilizzabili per aggirare i divieti di commercio con la Russia. C’è di più. In vista dell’accordo sull’export del grano ucraino, Bruxelles a fine luglio ha scongelato alcune attività di Bank Rossiya (controllata da Yury Kovalchuk e Nikolay Shamalov, due alleati di Putin) e di Promsvyazbank (la banca più usata dall’industria militare di Mosca). Un altro passo indietro si è avuto poi in estate con l’allentamento di certe sanzioni che complicavano l’export di petrolio russo verso Paesi come l’India o la Cina. È stato un tentativo di calmierare i prezzi internazionali del greggio, senz’altro. Ma il silenzio di Bruxelles su tutti questi arretramenti denota imbarazzo. E dimostra che questa guerra economica con la Russia richiederà nervi d’acciaio, perché resta lunga e disseminata di trappole.