la Repubblica, 15 settembre 2022
Le sanzioni hanno tempi lunghi. Una spiegazione
Stanno funzionando le sanzioni? La risposta non è semplice, e non solo perché la Russia ha smesso di rendere pubbliche le statistiche ufficiali sulla sua economia. Una precisazione di metodo: non disconosciamo affatto l’impatto dell’aumento dell’energia sui consumatori e soprattutto sulle aziende italiane. Qui ci limitiamo a considerare l’effetto sulla Russia.
Chi sostiene che le sanzioni non funzionano porta essenzialmente tre argomenti: la Russia guadagna dalle esportazioni di energia quanto se non più di prima; il Pil russo non è crollato come ci si aspettava; e le sanzioni hanno l’effetto perverso di aumentare i profitti delle aziende di energia europee.
È vero, la Russia vende meno petrolio e gas all’Europa, ma ne è aumentato vertiginosamente il prezzo, e si sono fatti avanti nuovi compratori. Risultato: l’ attivo della bilancia dei pagamenti russa è addirittura aumentato, ed è ora il maggiore del mondo in rapporto al Pil. Scavando più in profondità, però le cose stanno molto diversamente.
Finora c’era un venditore, la Russia, e molti compratori sparsi, i paesi europei. Gran parte delle proposte sul tavolo in Europa si possono riassumere in un concetto: aumentare il coordinamento tra paesi europei, in modo simile a quanto fatto per i vaccini, per aumentarne il potere di mercato e ridurre il prezzo. Non è detto che le proposte abbiano successo, ma in ogni caso ci vuole tempo. Quanto ai compratori alternativi, è vero che sono aumentati, ma per raggiungerli ci vogliono i gasdotti (la capacità russa di esportare gas liquefatto è limitata), e la portata di quello con la Cina è ridotta. Anche il secondo gasdotto con la Cina, in funzione al più presto nel 2030, non si avvicinerà nemmeno a rimpiazzare completamente il mercato europeo. Se persiste la situazione attuale la Russia dovrà tagliare la propria capacità produttiva di gas.
Ma il motivo principale per cui questo argomento è errato è che l’efficacia delle sanzioni non si misura sulle esportazioni russe, ma sulle importazioni. Quando gli alleati imposero il blocco navale della Germania nelle due guerre mondiali, lo scopo principale era di impedirle di importare, non di esportare. Una accurata analisi della più attendibile fonte di informazioni sull’economia russa, la banca centrale finlandese, mostra che le importazioni russe sono crollate, soprattutto nel settore tecnologico, cruciale per l’industria bellica. In giugno le importazioni nei settori tecnologici erano scese tra il 40 e il 60 percento rispetto ai tre mesi precedenti l’invasione, e quelle di automobili del 65 percento.
In queste condizioni diventa difficile fare l’ordinaria manutenzione di molte infrastrutture civili. Ma è probabilmente l’industria bellica che ne risentirà maggiormente, il che è esattamente lo scopo delle sanzioni; ed è possibile che le recenti difficoltà militari della Russia abbiano già a che vedere in parte con questa difficoltà ad importare e arimpiazzare materiali. Dopo l’invasione della Crimea nel 2014, le sanzioni (ironicamente, soprattutto da parte dell’Ucraina, fino ad allora la maggiore fornitrice di materiale bellico alla Russia) ebbero un effetto devastante sulla operatività militare russa.Fino a poco fa anche i paesi non aderenti alle sanzioni, inclusa la Cina, avevano ridotto le esportazioni verso la Russia.
Ultimamente quelle ufficiali sono aumentate, ma sempre a livelli insufficienti per mantenere in piena efficienza tecnologica molti settori civili e probabilmente militari. Quanto alle importazioni parallele, lo stesso governo russo stima che siano al massimo un quindicesimo delle importazioni prebelliche.
Il secondo argomento di chi sostiene che le sanzioni non funzionino è che l’impatto sul Pil russo è stato inferiore alle previsioni. Anche qui i dati sono incertima finora è probabile che il Pil russo sia diminuito meno del 6 percento previsto dal Fmi. Tuttavia anche in questo caso bisogna dare tempo alle sanzioni di funzionare. Per quello che può valere, la banca centrale finlandese prevede una recessione molto più accentuata nella seconda parte del 2022. Particolare importante: se si eccettua quelle derivanti dal gas e petrolio, le entrate dello stato in luglio sono scese tra il 30 e il 40 percento sull’anno precedente.
Il terzo argomento di chi è contrario alle sanzioni è che, a fronte dell’enorme impatto su consumatori e aziende, le aziende di energia europee fanno profitti smisurati. In realtà quest’anno i profitti complessivi delle aziende di energia europee sono diminuiti fortemente. Alcune aziende però hanno guadagnato molto, altre (nei paesi scandinavi, Austria e Germania) hanno perso moltissimo e sono state salvate dalla bancarotta solo grazie all’intervento dello stato. Cosa spiega questa differenza?
In generale, ha guadagnato chi ha ricevuto fonti di energia sulla base di contratti a lunga scadenza, basati sui costi pre-guerra, e ha rivenduto l’elettricità ai prezzi che conosciamo. Hanno perduto quelle aziende che, per coprirsi da variazioni dei prezzi, hanno venduto futures sul gas e sull’elettricità; quando il prezzo di questi futures aumenta vertiginosamente insieme al prezzo del gas e dell’elettricità, chi li ha venduti incorre in perdite astronomiche. Più in generale, quando si usano derivati per assicurarsi contro eventuali perdite (un uso prudenziale, tutt’altro che “speculativo”), diventa difficile stabilire esattamente quali siano i profitti di un’azienda, e a chi spettino.
In conclusione: funzionano le sanzioni? Se lo scopo era colpire la Russia dove è più importante, nella tecnologia e nella operatività bellica, la risposta è duplice: probabilmente sì, ma bisogna avere pazienza. Le sanzioni non risolvono tutto in pochi mesi.