ItaliaOggi, 15 settembre 2022
I numeri dello smart working (che in Italia sono in discesa)
Lo smart working raggiunge l’apoteosi – la «divinizzazione» – nei primi concitati e confusi momenti dell’arrivo della pandemia Covid, insieme con le mascherine, il salutarsi a gomitate e i banchi a rotelle nelle scuole. Non era di per sé una grande novità. Nelle situazioni di lavoro dove contava solo il prodotto e non il tempo preciso per produrlo – specialmente nelle attività consulenziali e creative – chi poteva era già riuscito da tempo a ritagliarsi degli spazi più ampi di indipendenza.
La novità consisteva principalmente nel fatto che doveva diventare un fenomeno di massa, un nuovo tipo di rapporto di lavoro applicabile in ogni circostanza possibile – anche in quelle dove non sembrava possibile – come nel caso delle forze di polizia inglesi, dove gli agenti, trovando molto più gradevole «lavorare da casa», ora rifiutano di tornare sulle strade.
Il fenomeno sfugge a controlli accurati ed è difficile trovare dati precisi al riguardo. Secondo le stime di Google Mobility – che si basano sul numero dei pendolari in movimento – di tutti i lavoratori presenti a Milano, solo il 12-13% sta proseguendo con il work from home, il valore più basso tra le sei metropoli prese in considerazione. A Londra sarebbero oltre il 30% a rifiutare ancora l’ufficio, mentre a New York circa il 26%.
I motivi dell’eccezione italiana non sono chiari, ma almeno in parte potrebbero essere legati alla diversa natura dei rapporti di impiego rispetto ai paesi anglosassoni, caratterizzati da una maggiore autonomia dei dipendenti nei confronti del datore di lavoro. Potrebbe dipendere anche dalla bassa sindacalizzazione dei colletti bianchi in Italia. Altrove, i sindacati – specialmente quelli dei dipendenti pubblici – hanno visto nel tira e molla con i lavoratori che preferiscono restare in casa un modo per rientrare in gioco dopo anni di indebolimento.
Così, la questione dello smart working va a ingarbugliarsi con un’altra controversia imparentata: il crescente dibattito sulla riduzione della settimana lavorativa a sole quattro giornate.
È un discorso che per il momento genera più calore che luce – come nel caso dei presunti ed eclatanti vantaggi ecologici derivanti dalla riduzione del pendolarismo. Ora pare di capire che le stime al riguardo siano state fatte supponendo che, nella nuova giornata libera, la gente resterebbe tranquillamente in casa, senza spostarsi e senza generare altri consumi… Guai se si andasse al lago o a sciare – o anche solo al centro commerciale a far compere…