La Stampa, 15 settembre 2022
Polemica sul vincitore del Campiello Bernardo Zannoni
Lo stereotipo in cui è incappato finirà per ascriverlo al suo ritratto dello scrittore da giovane, anche se Bernardo Zannoni di anni ne ha 27, che proprio pochi non sono. La rivista online Shalom lo ha pizzicato in flagranza di luogo comune (dal sapore razzista), perché nell’avventura della faina Archy, protagonista del romanzo vincitore del Campiello, I miei stupidi intenti, c’è una volpe usuraia, Salomon, che ha per sicario il cane Gioele, (fra l’altro, il nome di un profeta biblico). In altre parole, che bisogno c’era di dare nomi dal suono evidentemente ebraico a uno strozzino e al suo sgherro? Il giornale della Comunità ebraica di Roma accosta ovviamente questo stereotipo a quello del Mercante di Venezia , dove infatti culmina con Shakespeare, almeno in letteratura, l’antisemitismo di marca medioevale; e inizia quello moderno.
Zannoni ne è stato un po’ sorpreso, evidentemente non ci aveva pensato. La sua favola di animali parlanti non aveva, dice all’Ansa, brutte intenzioni: anzi lui ha sempre subito il fascino dell’ebraismo, delle «sue storie dense di significati» e dei «nomi più belli che esistano a questo mondo». E poi, non è proprio Salomon ad iniziare Archy alla scrittura e alla lettura, che lo renderanno umano? Si scusa, ma tiene il punto. Ma che cosa sarebbe cambiato nella dinamica del testo se la volpe si fosse chiamata Mario e il cagnaccio Bartolomeo? A una prima lettura, la risposta è: nulla. La scelta di Zannoni fa pensare a un lapsus (in tal caso rivolgersi a Freud), anche perché la figura dell’ebreo, spesso usuraio, è un possente elemento narrativo in una lunga storia letteraria che non si può ignorare.
Nei classici c’è però sempre una sfida allo stereotipo: lasciando da parte il monumentale Daniel Deronda di George Elliot, forse un poco dimenticato, penso all’immortale figura di Gobseck, in Balzac, dove il commerciante usuraio, avarissimo e accumulatore compulsivo, ha una funzione chiave per buona parte della Commedia umana (ricordiamo intanto che è il padre della prostituta Ester, destinata a scarificarsi per amore di Lucien de Rubempré in Splendori e miserie delle cortigiane). Peter Brooks lo definisce bene nel suo Vite di Balzac: «È terribile, è amorale, eppure è un paladino dei solidi valori. In ultima analisi, la sua è una figura emblematica della nascente età del capitalismo». Lo stereotipo – cui non è detto che l’autore, monarchico e reazionario, non indulgesse di suo - è riscattato dal genio narrativo. Nel Novecento, il Pereira di Tabucchi non ha questo problema, è un personaggio pavido e anzi untuoso (altro stereotipo possibile) che diventa capace di gesti di coraggio e di sfida al regime portoghese. Ma nei dintorni di Sostiene Pereira, come dimenticare Mr. Silvera, «l’amante senza fissa dimora» di Fruttero e Lucentini, eterno ebreo errante nella cornice della riflessione sul tempo: che sfugge, sfugge come sapeva Proust, sotto questo aspetto il miglior inseguitore. Padre cattolico, madre ebrea, lo scrittore della Recherche è attraversato da una forma di disagio, quasi timidezza, nei confronti di un mondo tendenzialmente antisemita. Solo con il caso Dreyfus il narratore si schiera, e schiera l’armata dei personaggi: primo fra tutti l’elegantissimo Swann, ebreo accettato dal gran mondo. Vladimir Nabokov, nelle Lezioni di letteratura, individua proprio in esso un «tipo» che non è propriamente letterario o razziale, a differenza del suo grande gemello, il joyciano Leopold Bloom. E qui davvero c’è un punto d’arrivo ancora insuperato. Ebreo per parte di padre (la moglie Molly lo è, in un gioco di chiasmo, per parte di madre), deriso «con reverenza pagliaccesca» dal maligno Buck Mulligan e da parecchi altri, rappresenta un esilio in cui si rispecchia quello dello scrittore. Soprattutto, è il portatore della parola chiave dell’Ulisse, quella «parola nota a tutti gli uomini» e che nessuno riconosce: amore. Altro che stereotipi. Woody Allen ha spesso ricordato l’aspetto sostanzialmente contradditorio dello scherzare sugli – e con gli – ebrei. Ma in questi casi, scherzi a parte, siamo di fronte a un problema squisitamente letterario. Che non dovrebbe beninteso far rima con secondario.