DAGOREPORT, 14 settembre 2022
L’ULTRACASTA DEI CONSIGLIERI DI STATO - A CHI APPARTIENE LA ‘’MANINA’’ DEL MEF CHE HA CONSENTITO L'ELIMINAZIONE DEL TETTO DEI 240 MILA EURO PER RADDOPPIARLO A 480 FACENDO FELICI I VERTICI DELLE FORZE ARMATE, DELLA POLIZIA E DEI MINISTERI, COMPRESO PALAZZO CHIGI? FACILE: IL POTENTE GIUSEPPE CHINÉ, CAPO DI GABINETTO DEL MINISTRO DANIELE FRANCO, PERSONA DI RACCORDO CON IL VERTICE POLITICO, SOGGETTO DECISIVO PER I SÌ E I NO DA PRONUNCIARE - NON SOLO CHINÉ: OCCORRE AGGIUNGERE IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE FINANZE E TESORO DEL SENATO, LUCIANO D’ALFONSO, GRAN SODALE DI CARLO TOTO… -
A chi appartiene la ‘’manina’’ del Mef che ha consentito l'eliminazione del tetto dei 240 mila euro per i vertici delle forze armate, della polizia e dei ministeri, compreso Palazzo Chigi? Facile: il potente Giuseppe Chiné, capo di gabinetto del ministro Daniele Franco. Al ministero dell’economia – il luogo decisivo di ogni intreccio di potere – Chiné è la persona di raccordo con il vertice politico del ministro, supportandolo nella definizione degli obiettivi dell'amministrazione. È il soggetto decisivo per i sì e i no da pronunciare. Il blitz che ha fatto infuriare Draghi – il tetto da 240 si raddoppia a 480 mila euro – porta non solo la firma di Chiné ma anche quella del presidente della Commissione Finanze e Tesoro del Senato, Luciano D’Alfonso, che – eufemismo – non stima granché Draghi e Giavazzi da quando il Consiglio di Stato ha riaffidato ad Anas la gestione delle autostrade A24 Roma-L’Aquila-Teramo e A25 Torano-Pescara, togliendole al suo solido amico Carlo Toto.
D’Alfonso, oggi sul Corriere (vedi articolo a seguire), si difende a colpi di supercazzole dall’accusa di aver mandato in aula l’emendamento che sfonda il tetto degli stipendi ai manager pubblici.
La deroga è infatti valida per il Capo della polizia, il Comandante generale dell'Arma dei carabinieri, il Comandante generale della Guardia di finanza, il Capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, il Capo di stato maggiore della difesa, i Capi di stato maggiore di Forza armata, il Comandante del comando operativo di vertice interforze, il Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto, i Capi Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei ministri, i Capi Dipartimento dei ministeri, il Segretario generale della presidenza del Consiglio dei ministri, i Segretari generali dei ministeri. Tutti tipini che un giorno saranno riconoscenti.
Scrive Carlo Di Foggia su “il Fatto quotidiano”: “Come si intuisce dall'elenco, il mandante del blitz è chiaro: i papaveri ministeriali - con il Tesoro a fare da palo - hanno visto nel braccio di ferro tra governo e partiti sul dl Aiuti l'occasione giusta. La possibilità è stata fornita da un emendamento depositato dal senatore Marco Perosino di Forza Italia. Il testo originario prevedeva la deroga al tetto sugli stipendi solo per le forze di polizia, carabinieri e amministrazione penitenziaria. Poi però è successo qualcosa”.
E’ successo che la potentissima lobby dei consiglieri di Stato si è messa in moto, una “ultra casta” che Sergio Rizzo ha messo nero su bianco nel suo libro “Potere assoluto”.
2 - ‘’POTERE ASSOLUTO’’ - LIBRO INCHIESTA DI SERGIO RIZZO EDITO DA SOLFERINO - ESTRATTO https://www.micromega.net/il-potere-assoluto-dei-consiglieri-di-stato/
I consiglieri di Stato sono magistrati, verissimo. Però magistrati assolutamente sui generis. Così sui generis che molti di loro non fanno nemmeno quel lavoro. Fra tutti i 10mila e passa magistrati italiani sono quelli più vicini alla politica. Al punto da indirizzarne talvolta le scelte importanti.
Gli spetta per legge il compito di esprimere pareri e suggerimenti sulle iniziative del governo. Pareri e suggerimenti, si badi bene, talvolta vincolanti. Al tempo stesso, nei panni di giudici, hanno il potere di emettere sentenze su ogni causa che contrapponga la società civile alla pubblica amministrazione. E anche di più.
Controllano i grandi appalti e gli affari delle imprese private e di Stato, senza contare le misure adottate dalle autorità indipendenti. Nomine e avanzamenti di carriera di funzionari statali, dispute territoriali, controversie sui servizi pubblici. Possono controllare perfino il destino dei colleghi giudici e procuratori della Repubblica, che si devono rivolgere a loro per i ricorsi contro le decisioni del Consiglio superiore della magistratura riguardanti le carriere.
Ma il vero asso nella manica è la possibilità di assumere incarichi diversi da quelli strettamente giudiziari, andando «fuori ruolo». Significa che continuano a prendere lo stipendio svolgendo altri incarichi istituzionali, magari con una gratifica per il disturbo di cambiare ufficio, e intanto entrano nella stanza dei bottoni a contatto diretto con i politici che contano.
E qui viene l’aspetto più interessante. Perché proprio quel genere di incarichi «fuori ruolo» li ha trasformati negli uomini più potenti del Paese. Hanno in mano i ministeri, che i ministri gli danno volentieri in gestione chiamandoli a fare i capi di gabinetto. Spesso senza nemmeno averli scelti, ma essendo stati scelti, perché più potenti loro dei ministri.
Hanno in mano perfino il processo legislativo della nostra democrazia, visto che, come esperti giuridici dei ministri, scrivono le leggi e ne gestiscono il funzionamento attraverso decreti attuativi predisposti da loro stessi.
Nel governo di Mario Draghi ce ne sono undici: il 10 per cento dell’intero Consiglio di Stato. E non sono magistrati qualsiasi. Occupano molti posti chiave, a cominciare dal vertice dello Stato. Cioè Palazzo Chigi. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, la figura politica più importante perché braccio operativo del premier, è Roberto Garofoli.
Il segretario generale di Palazzo Chigi, cioè il capo dell’amministrazione più potente del Paese, risponde al nome di Roberto Chieppa, figlio dell’ex presidente della Corte costituzionale Riccardo Chieppa. Capo del dipartimento Affari giuridici è Carlo Deodato, consigliere di Stato che ha avuto la stessa funzione nel governo di Enrico Letta.
Predecessore di Deodato è Ermanno De Francisco, chiamato da Giuseppe Conte. Perché in quella stanza della presidenza, da cui escono i disegni di legge e i decreti del governo, c’è sempre stato un consigliere di Stato. Le eccezioni, come per esempio Roberto Cerreto, il funzionario parlamentare che l’ha occupata durante il breve governo di Paolo Gentiloni, pure esistono. Ma si contano sulle dita di una mano.
Nel 2021 le tre posizioni di maggior peso nel cuore del potere sono dunque occupate da consiglieri di Stato. Idem al ministero più importante, quello che ha il cordone della borsa. Il gabinetto del ministero dell’Economia occupato dall’ex Bankitalia Daniele Franco è guidato da Giuseppe Chiné.
Mentre gli uffici legislativi sono affidati, oltre che a Mastrandrea, ad Alfredo Storto e Glauco Zaccardi: il quale non è consigliere di Stato ma un magistrato ordinario figlio di Goffredo Zaccardi, lui sì già consigliere di Stato, ora in pensione, capo di gabinetto del ministero della Salute fino al settembre 2021.
Zaccardi junior è stato il solo di quella struttura a conservare la poltrona con il passaggio di consegne al ministero da Roberto Gualtieri a Franco. Mastrandrea ha rilevato la sua collega Francesca Quadri, e Storto è arrivato al posto di Hadrian Simonetti, consigliere di Stato legatissimo a Ermanno De Francisco.
Ma andiamo avanti. Raffaello Sestini ha l’incarico di vicecapo di gabinetto di Roberto Cingolani, titolare del ministero della Transizione ecologica, dove il responsabile delle leggi era fino al novembre 2021 il presidente di sezione del Consiglio di Stato Claudio Contessa. Il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha come capo di gabinetto Luigi Fiorentino.
Al ministero della Salute di Roberto Speranza, da due anni impegnato nella lotta alla pandemia, la stesura dei testi di legge è compito del consigliere di Stato Luca Monteferrante. Capo dell’ufficio legislativo del ministro del Turismo, Massimo Garavaglia, è Roberto Proietti. La sua collega Antonella Manzione è consigliere giuridico della ministra della Famiglia Elena Bonetti. Prima della sua nomina a consigliere di Stato ha guidato l’ufficio legislativo di Palazzo Chigi con Matteo Renzi.
Il Consiglio di Stato è il nocciolo duro del potere. Un piccolo blocco granitico, intoccabile e soprattutto autoreferenziale, in quella «ultracasta» che è la magistratura, come l’ha definita nel 2009 un magnifico libro del giornalista dell’«Espresso» Stefano Livadiotti.
Nel senso che la spartizione degli incarichi di potere, quasi tutti invece inibiti ai magistrati ordinari, è un fatto interno sul quale nessuno può mettere bocca. E dal vertice dello Stato il suo potere si spande a macchia d’olio in tutte le pieghe della nostra società. […]
3 - D’ALFONSO E LO SFONDAMENTO DEL TETTO DEGLI STIPENDI AI MANAGER: «IO NON ME NE SONO ACCORTO. PEROSINO DOVEVA DIRE “NO”» Virginia Piccolillo per il "Corriere della Sera"
Senatore Luciano D’Alfonso perché avete mandato in aula l’emendamento che sfonda il tetto degli stipendi ai manager pubblici? «L’unico che poteva eccepire qualcosa era l’autore, Marco Perosino, ma non lo ha fatto».
Ma Perosino dice che lo aveva ritirato. «Per ritirarlo serve un atto formale, che non ha fatto».
Ma Lei che presiede la commissione Finanze e Tesoro non se n’è accorto? «No, né io né Daniele Pesco che presiede la commissione Bilancio al Senato. Perché quando è arrivato dal governo non era più possibile fare alcun tipo di modifica. Non c’era più tempo poiché ogni cambiamento deve essere validato dal governo. Questa poi era una riconferma. Il Parlamento verifica quando ci sono cambiamenti della parte originaria, ma qui c’era solo un allargamento della platea».
Un bell’allargamento: ai vertici delle Forze di polizia e Forze armate si sono uniti anche i ministeri e per analogia se ne potranno aggiungere altri. «Quando queste navicelle viaggiano sollecitano appetiti. La regia per l’istruttoria di verifica ce l’ha il Mef, ma quando si apre l’istruttoria di verifica di compatibilità economica ad altre amministrazione questi provvedimenti si cominciano a gonfiare».
Era il caso che passasse questa norma in un provvedimento nato per aiutare chi non ce la fa a sostenere i rincari delle bollette? «L’innalzamento del tetto è facoltativo e rimanda a un decreto. So che questo provvedimento doveva vedere la luce già a dicembre con una norma che riguardava l’indicizzazione Istat per superare l’inflazione. Ma va sempre fatta attenzione al momento. Anche per un provvedimento come questo che rende libero chi non deve essere sottoposto a nessuna pressione».