Corriere della Sera, 14 settembre 2022
La coppia che ha sepolto 8 milioni di euro in giardino
Gussago (Brescia) Nel grande giardino che circonda la loro casa di Gussago – paese alle porte della Franciacorta in provincia di Brescia – non particolarmente appariscente, così come l’abitazione del resto, nascondevano un tesoro. In senso letterale. Sotto metri di terra, dentro ai fusti e chiusi ermeticamente nelle buste di plastica sottovuoto, c’erano oltre otto milioni di euro in contanti. Una montagna di banconote. Li hanno trovati i carabinieri e la Guardia di finanza su delega del sostituto procuratore Claudia Passalacqua, titolare di una maxi inchiesta su un presunto giro di fatture false da circa mezzo miliardo, pari a 93 milioni di imposte evase.
Al vertice di quella che secondo l’accusa è un’associazione a delinquere, ci sarebbe il capofamiglia: Giuliano Rossini, 46 anni, da tempo titolare di aziende che commercializzano metalli ferrosi in provincia, una passione innata per la bicicletta e poche apparenti pretese. Per il gip è «il dominus» dell’affare illecito. Braccio destro e «pari grado», la moglie Silvia Fornari, 40, che per gli inquirenti avrebbe passato le giornate, quantomeno negli ultimi quattro anni, a occuparsi «direttamente e personalmente della creazione di fatture false fornendo un contributo materiale fondamentale per la stessa vita dell’organizzazione». Una donna dall’aspetto curato ma semplice, più in azienda che a fare shopping, che si muoveva a bordo di una piccola utilitaria piuttosto che sul suv del consorte. Per chi indaga spesso avrebbe affidato ad altri indagati il compito di contattare gli acquirenti per i pagamenti. Avrebbe poi controllato i conti e gestito personalmente l’ufficio occulto di Gussago e «i trasferimenti dei bonifici ricevuti dai clienti a pagamento delle fatture», appunto, sui conti aperti oltreconfine, dall’Europa dell’est fino a Hong Kong. Insieme al marito, in sintesi, avrebbe costituito «imprese individuali e società cartiere al solo fine di emettere fatture per operazioni inesistenti a copertura degli acquisti di materiale ferroso e non, in nero, individuando prestanome, strutture e mezzi per dare loro una parvenza di operatività».
Poi c’è il figlio Emanuele, ai domiciliari, 22 anni. Niente grilli per la testa e serate troppo mondane in locali vip, piuttosto, le tratte alla guida del furgoncino della ditta. Avrebbe partecipato, con la madre, alle consegne di denaro, ritirato il contante e predisposto documenti da dare a clienti, fornitori e autotrasportatori. Infine, la zia materna, Marta, agli arresti pure lei: si sarebbe principalmente occupata «delle restituzioni del denaro contante ai clienti degli uffici interni» di una delle aziende di famiglia, a Travagliato, di cui risulta rappresentante legale. Marito e moglie si sono consegnati in carcere, lui a Cremona, lei a Verziano, Brescia: oggi saranno interrogati dal gip. Pare siano pronti a spiegare come sono andate le cose, secondo loro. Tutti incensurati. Niente eccessi, nessun vizio, zero lussi. Una famiglia apparentemente modesta, perfettamente «mimetizzata» con il contesto della zona in cui viveva. Quando giovedì scorso all’alba gli investigatori hanno bussato alla porta per la perquisizione e la notifica delle misure, non erano in casa. Ma in Austria, dove pare trascorressero anche lunghi periodi. Così come a Panama, peraltro: noto paradiso fiscale e meta nella quale l’estradizione sarebbe diventata un miraggio. Dal suo smartphone, Rossini, controllando le telecamere, avrebbe notato la presenza delle forze dell’ordine e chiamato i carabinieri: «Tutto a posto? Che succede?».