Corriere della Sera, 14 settembre 2022
Parlano i prigionieri torturati
«Sono 150 mila le persone liberate dall’occupazione nella regione di Kharkiv», proclama la viceministra della Difesa Hanna Malyar, nella piazza di Balakliya su cui è tornata a sventolare la bandiera gialla e blu. Il governatore Oleh Synehubov spiega che è iniziato il lavoro per documentare i crimini russi e recuperare i cadaveri delle vittime. «Chiediamo a tutti di indicarci i luoghi di sepoltura. Finora sappiamo di cinque persone, purtroppo ce ne saranno altre».
Andriyi, 41 anni, dirigeva la stazione degli autobus di Kupyansk, snodo ferroviario e stradale nel Nord-Est, e dice di essere stato arrestato e torturato dai russi in questi sei mesi, insieme al fratello di 37 anni. Ci mette in contatto con lui un terzo fratello, militare ucraino. Ci chiede di non usare il vero nome, perché ha parenti in zone ancora occupate.
«Mi hanno arrestato l’8 luglio e sono rimasto in cella fino al 15 agosto – dice al telefono al Corriere —. Collaboravo con l’intelligence ucraina. Penso che qualcuno mi abbia denunciato, ma non avevano prove, altrimenti al 100% mi avrebbero portato nella foresta, ucciso e seppellito là».
L’8 luglio Andriyi e il fratello minore stavano andando a trovare la madre nel paesino di Dvorichna, più a nord. Si sono fermati a un supermercato. «C’erano sette soldati russi, ho domandato se il negozio funzionava, mi hanno chiesto i documenti e hanno detto: “Ah, ti stavamo cercando”». Un sacco sulla testa, polsi legati, gli hanno chiesto dove lavorava e lo hanno portato alla stazione dei bus, dove hanno ispezionato il sistema di Cctv, poi alla centrale di polizia. «Sono stato interrogato, picchiato e torturato con i cavi elettrici. “Conosci qualcuno nell’esercito?”. E poi domande sulle telecamere nella stazione dei bus, domande tendenziose. A pancia in giù, i cavi attaccati alle orecchie. Prima che potessi rispondere, partiva un’altra scarica. È come sbattere la testa e vedere le stelle, le vedi davvero. La lingua ti si riempie di bolle, ci vuole una settimana perché passi. Non dimenticherò mai quella voce. Era di uno dei soldati russi col passamontagna che mi avevano arrestato, il più loquace. Ha minacciato di portarmi nella foresta. Ha detto che mio fratello aveva confessato, che avrebbero portato lui nella foresta e l’avrebbero ucciso davanti ai miei occhi». Andriyi afferma di essere stato torturato due volte, la seconda nel 25esimo giorno di prigionia «solo per due minuti».
C’erano circa 150 persone nelle 14 celle nel seminterrato. «La mia aveva 4 brande ma eravamo 12, 15, 19. Di sera veniva il guardiano con le chiavi, apriva la porta di metallo, chiamava per nome, portava via e sentivi le grida nel corridoio. Qualcuno non è più tornato in cella», racconta. «Metà di noi subiva interrogatori e torture, l’altra metà erano alcolizzati e tossici che avevano violato il coprifuoco e se la cavavano con uno scappellotto e lavori come pulire per terra o riempire di sabbia i sacchi per i checkpoint. Uno l’avevano preso perché fumava erba», ride Andriyi. «E ha tradito il suo fratellastro spifferando che una volta aveva proclamato: “L’Ucraina si riprenderà tutto”». Andriyi era tra i 10 uomini e una donna, tutti accusati di collaborazionismo, liberati il 15 agosto: dice di non sapere il perché (e che le autorità ucraine gliel’hanno chiesto più volte). «Poco prima dell’alba ci hanno restituito le nostre cose, anche collanine d’oro e cellulari e, con i polsi legati e i sacchi sulla testa, ci hanno portato in bus alla diga in disuso di Pechenihy». Durante l’occupazione era il passaggio per l’evacuazione verso l’Ucraina aperto tutti i lunedì, per donne, bambini, anziani. «Non dimenticherò mai quella voce. Il soldato russo ci ha detto che ci era vietato tornare nelle aree “liberate” per 25 anni», ride ancora.
A Kupyansk i filorussi erano tanti. «Lo dimostra la fila di auto che si è diretta alla frontiera», nota Andriyi. «Secondo me è colpa della tv russa»: da quelle parti si prende con l’antenna, meglio di quella ucraina. «Credono alla propaganda. Io litigavo con i vicini quando dicevano: “Coi russi l’economia si risolleverà”. Ma se i prezzi si erano quintuplicati e dal Donbass arrivavano certe schifezze da mangiare!». Andriyi non vede l’ora di tornare alla sua stazione dei bus, «appena l’esercito darà l’ok». Kupyansk «ora è uno snodo verso il nulla», ci dice Oleksandr Shevchenko delle Ferrovie: non si può andare in Russia né nel Donbass. Ma si lavora per ripristinare i collegamenti con Kharkiv e il resto dell’Ucraina. Manca solo il personale, scappato in Russia. Cercasi capostazione.