la Repubblica, 14 settembre 2022
Dell’emergenza climatica i leader non parlano. Lo di ce un rapporto di GreenPaece Italia
I numeri, impietosi, emergono da uno studio che Greenpeace Italia ha commissionato all’Osservatorio di Pavia. Dal 21 agosto al 4 settembre sono stati monitorati 105 tg (trasmessi in fascia prime time da Rai, Mediaset, La7), 25 puntate di talk show, 14 profili Facebook di altrettanti leader politici: i capi delle coalizioni maggiori, Letta e Meloni, ma anche, tra gli altri, Tajani, Fratoianni, Bonino e Berlusconi. Ebbene il risultato è (quasi) sempre lo stesso, indipendentemente dal partito e dal format comunicativo utilizzato. La crisi climatica è quasi del tutto assente nei tg e nei post su Facebook, non fa parte dei messaggi prioritari che la politica vuole trasmettere», nota il direttore di Greenpeace Italia Pippo Onufrio. «Va un po’ meglio nei talk, ma per merito degli intervistatori più che degli intervistati. Eppure a livello globale il clima fa ormai parte seriamente dell’agenda politica almeno dal 2015, anno degli Accordi di Parigi. Che i nostri partiti non se ne siano accorti è sconfortante».
Prendiamo i telegiornali. L’analisi dell’Osservatorio mostra che solo l’il,9% delle dichiarazioni rilasciate dai leader ai principali tg hanno a che fare con l’ambiente. E se si scende nel dettaglio, si nota che di questo 11,9% appena il 6% riguarda il clima e il taglio delle emissioni, mentre oltre il 92% siconcentra sulle politiche energetiche, le bollette, la corsa del prezzo del gas... Nei telegiornali di prima serata, Enrico Letta ha affrontato temi ambientali in 7 dichiarazioni sulle 67 rilasciate nel complesso, mentre Giorgia Meloni lo ha fatto due volte su 54.
Scenario diverso quello dei talk show, perché in quel caso, come fanno notare gli autori dello studio, il conduttore ha un ruolo fondamentale neH’indirizzare il dibattito verso certi temi piuttosto che altri. E così, le puntate in cui gli ospiti politici hanno parlato di ambiente risultano l’80% del totale. Tuttavia anche in questo caso è la preoccupazione per le bollette a farla da padrona: le politiche energetiche riguardano infatti il 74,5% degli interventi ambientali nei talk, mentre la transizione energetica dai fossili alle rinnovabili e la crisi climatica si fermano entrambe al 7,8% del dibattito sull’ambiente. Colpisce che alcuni leader, tra quelli monitorati, non abbiano mai parlato di ambiente una volta invitati nei talk: è il caso, per esempio, di Roberto Speranza e Luigi Di Maio.
Ci sono poi i profili Facebook, quella che l’Osservatorio di Paviaclassifica come “informazione autodiretta”, dove cioè è il politico a scegliere il tema su cui cimentarsi. Qui l’ambiente torna a rappresentare uno sparuto 10% dei post realizzati dai leader (o dai loro social media manager). Carlo Calenda ha il record di post “ambientali”: 29, ma su un totale di oltre 200. Matteo Salvini nel colleziona appena 3 su ben 187. Peggio ancora la Meloni, con zero spaccato. Fa eccezione, ma non stupisce, il verde Bonelli con tre post green su cinque totali.
E anche su Facebook il tema ambientale dominante è l’energia (80,9% dei post a sfondo green), mentre la crisi climatica supera appena il 2%. Una ulteriore conferma che, se non incalzati da domande specifiche, come avviene nei tg o nei talk, i leader tendono spontaneamente a evitare l’argomento.
E questo nonostante i sondaggi (per esempio la ricerca di Swg per Italian Tech pubblicata su questo giornale il primo settembre scorso) abbiano ampiamente mostrato come i giovani elettori siano attentissimi al riscaldamento globale. E nonostante una mobilitazione popolare senza precedenti che ha portato 221mila persone a sottoscrivere l’appello dei climatologi alla politica, perché mettesse l’innalzamento delle temperature al centro della campagna elettorale, pubblicato da Green&Blue.
«L’analisi delle dichiarazioni si ferma al 4 settembre, ma non mi pare che dal 5 in poi sia cambiato qualcosa», conclude Onufrio. E una volta insediato il nuovo governo? «A quel punto la questione climatica andrà affrontata obbligatoriamente. Altrimenti le conseguenze le pagheranno gli italiani e, quindi, anche chi avrà conquistato Palazzo Chigi il 25 settembre».