La Stampa, 14 settembre 2022
Arimi all’Ucraina, l’intesa tra Draghi e Meloni
Ci potrebbe volere ancora più di un mese prima di vedere nascere il nuovo governo. Ma i tempi della guerra non sono quelli della politica. L’Ucraina ha bisogno al più presto di aiuti e armi, preziosissimi ora che la controffensiva di Kiev sta piegando le forze di Mosca a Est. Mario Draghi si è posto la questione di cosa fare, visto che la sua avventura a Palazzo Chigi sta volgendo al termine e la materia dei supporti militari se è già di per sé politicamente incandescente, in piena campagna elettorale potrebbe diventare esplosiva.
In ballo c’è un quinto decreto interministeriale. Un’ultima spedizione, una tranche riferita al quarto, dovrebbe partire la prossima settimana. Ma la Difesa è già al lavoro sul nuovo invio e il ministero guidato da Lorenzo Guerini ha avviato, assieme alle forze armate, la ricognizione sulle dotazioni da destinare agli ucraini. Per evidente opportunità il governo sta aspettando le elezioni del 25 settembre. Ma l’intenzione sarebbe di non trascinare il via libera fino all’insediamento del nuovo esecutivo, che è probabile non vedrà la luce prima di fine ottobre.
Giorgia Meloni ha già fatto sapere che la linea rimarrà la stessa. Una rassicurazione che ha dato anche personalmente a Mario Draghi. Non solo: nelle interlocuzioni di queste settimane tra Fratelli d’Italia e Palazzo Chigi è stato già toccato pure il tema del quinto decreto. E di fatto, la totale condivisione sulla necessità di non far mancare il sostegno a Kiev è stata interpretata come un consenso a non ritardare il nuovo pacchetto di aiuti. In teoria il perimetro degli affari correnti tracciato dal capo dello Stato Sergio Mattarella per definire i poteri del premier dimissionario comprende il rispetto dell’indirizzo del Parlamento uscente e degli impegni internazionali. Il decreto non ha bisogno di via libera parlamentari perché previsto dallo stato di emergenza per assistenza e soccorso alla popolazione ucraina, già votato dalle Camere e in scadenza il 31 dicembre. Ma il premier vuole comunque muoversi con assoluta cautela e, dopo gli scontri con il leader del M5S Giuseppe Conte, evitare di finire nel tritacarne elettorale. Oppure: essere accusato di interferire con gli interessi del futuro governo. A questo punto, l’ipotesi che circola a Palazzo Chigi è di attendere di conoscere i vincitori delle elezioni e, di intesa con i partiti che formeranno la nuova maggioranza, dare l’ok al decreto. È probabile che accadrà nella prima metà di ottobre.
Il lavoro, intanto, è stato già avviato. Ieri durante il colloquio telefonico con Volodymyr Zelensky, Draghi ha confermato il «continuo» sostegno all’Ucraina «in tutti gli ambiti», e dunque anche quello militare, come stabilito dagli accordi con gli alleati. Giovedì scorso, durante il summit del Gruppo di contatto per la Difesa dell’Ucraina, a Ramstein, in Germania, la Nato ha ribadito l’impegno a rifornire Kiev di equipaggiamenti militari. Il segretario Jens Stoltenberg ha sottolineato la necessità di inviare il più presto possibile questi aiuti, proprio per consolidare i recenti successi contro l’esercito di Vladimir Putin. Al vertice ha partecipato anche Guerini. Il ministro si è soffermato a parlare con l’americano Lloyd J. Austin III e l’ucraino Oleksii Reznikov. Ai colleghi ha dato rassicurazioni sulle nuove forniture e ha spiegato che «finché ci sarò io l’Italia continuerà a fare la sua parte e a supportare la resistenza di Kiev».
La sensazione però è che anche il prossimo governo non si sottrarrà. Persino il capo della Lega Matteo Salvini, che fino a qualche mese fa diceva di guardare con orrore alle armi, si è convertito e ha dato garanzie in questo senso. «La linea che terremo sul piano umanitario, finanziario e militare – conferma il sottosegretario alla Difesa, Giorgio Mulè, di Forza Italia – sarà assolutamente sovrapponibile a quella che il governo uscente ha tenuto in questi mesi, e sarà condivisa come sempre con i nostri alleati europei e atlantici». È quello che ha ripetuto durante la visita nella capitale ucraina di cinque giorni fa, anche Adolfo Urso, il presidente FdI del Copasir, la commissione parlamentare di controllo dei servizi segreti, uno dei candidati a succedere a Guerini al ministero della Difesa. Il tema delle armi sarà cruciale anche durante la prossima legislatura. Ne è una prova il voto contrario dei senatori del M5S all’avvio dei programmi di riarmo, ieri in commissione Difesa. «È una questione di democrazia, di rispetto del Parlamento e delle sue prerogative – hanno detto gli uomini di Conte – Decisioni come queste, che vincolano i governi dei prossimi 15-20 anni a spese multimiliardarie, vanno esaminate con attenzione e conderazione da un Parlamento pienamente legittimato e operativo». —