La Stampa, 14 settembre 2022
L’ultima lezione di Amato
L’ultima lezione di Giuliano Amato, nel giorno del solenne commiato dalla Corte costituzionale, è forse il suo ultimo regalo a questo Paese. Un grido di allarme di chi ne ha viste tante e che sarebbe sbagliatissimo sottovalutare. Da giovane, Amato si era conquistato il nomignolo di Dottor Sottile per la sapienza giuridica e politica. Ora, a 84 anni, si congeda dalle istituzioni con un avviso ai naviganti che lo porta ad usare due parole forti: «Caos istituzionale».
Non ci siamo ancora dentro, per fortuna. Ma il caos istituzionale è dietro l’angolo se tutti quelli che hanno potere, non resisteranno alla tentazione della guerra permanente. Il vecchio mondo sta franando sotto i suoi occhi. E non solo per l’invasione dell’Ucraina, ma perché si aggrovigliano le tensioni pure nell’ambito della civile Europa e tanti sono tentati dalle scorciatoie.
Si prenda la storia del primato della giustizia nazionale su quella europea. Sempre più di frequente ci sono episodi che «portano ad innalzare, o a minacciare di innalzare, barriere nazionali contro il diritto comune». E così diventa concreta la domanda «che avremmo voluto lasciare sui libri, su chi abbia l’ultima parola».
Il primato del diritto nazionale è un cavallo di battaglia della sovranista Giorgia Meloni, ma mica solo suo. La questione esiste e se ne parla molto tra i tecnici del diritto. La Gran Bretagna, per dire, ha sbattuto la porta dell’Ue essenzialmente per questo motivo. E la tentazione tocca anche Paesi insospettabili. «In campo europeo – dice – la tentazione di affermare il primato del diritto nazionale su quello comune europeo non è solo di Polonia, Romania e Ungheria».
Amato ha in mente, anche perché oggetto di recenti incontri internazionali di studio, i casi di una controversa decisione del Consiglio di Stato in Francia, o certe pronunce borderline della Corte costituzionale tedesca. L’intera architettura europea traballa, insomma. E lui ne è sinceramente spaventato.
Così come venti di tempesta attraversano l’Europa, altri potrebbero sconvolgere l’Italia. C’è il nodo dei nuovi diritti che non trovano ancora sistemazione. Ed è innegabile che alle sentenze della Corte è seguito il silenzio del Parlamento «oppure voci discordi al suo interno che bloccano le decisioni». Nel vuoto legislativo, però, qualcuno vorrebbe avanzare a colpi di sentenze. E questo aprirebbe la strada al conflitto permanente. «Le difficoltà decisionali del Parlamento – scandisce – cominciano a dar fiato a tesi che ritenevo ormai sepolte sulla giurisprudenza come fonte del diritto al pari della legislazione».
Sarebbe ai suoi occhi l’ultima picconata alle regole, questo potere che qualcuno immagina di dare ai magistrati «sulla legittimazione che ciò avrebbe nella previsione costituzionale secondo cui la giustizia è amministrata in nome del popolo».
Ma se si arrivasse allo strappo su questo terreno, ebbene sarebbe «una strada che porta dalle situazioni innegabilmente difficili al caos istituzionali».
E quindi questo è il suo messaggio ultimo: «La soluzione non è che ciascuno dei poteri profitti delle difficoltà altrui per fare ciò che gli pare giusto e che tuttavia tocca all’altro. L’esercizio responsabile e certo non timido del proprio potere è un dovere istituzionale. Ma con il rispetto del suo limite, che è parte non rinunciabile della “rule of law”, chiunque sia a non rispettarlo, l’esecutivo come il giudiziario».
È un saluto alle istituzioni dopo tanti anni in prima linea, insomma, quello di Amato, segnato dal pessimismo. Lo dicono gli occhi ancor più delle parole. «Il mondo è cambiato nel corso dei nove anni che ho passato alla Corte. E non è cambiato in meglio. Sono aumentati i conflitti fra Stati, dentro e fuori l’Unione europea. Sono aumentati i conflitti entro le nostre società statuali, dove i sistemi politici si sono radicalizzati in particolare sui temi valoriali e identitari». E per chi s’è trovato nel ruolo di giudice delle leggi, è stato sempre più difficile trovare soluzioni condivise. —