il Fatto Quotidiano, 13 settembre 2022
Un ritratto di Vincenzo De Luca, «un dittatore del clientelato»
È l’inizio dell’anno quando, da Salerno, parte un accorato appello per un gruppo di docenti, esperti di politica, amici. L’appello giunge da una media città del Sud dove da poco si sono concluse le elezioni amministrative e dove da più di 30 anni governa il medesimo gruppo di potere guidato da un ex comunista, Vincenzo De Luca. Qui si è toccato il record della longevità del potere, inferiore solo a Kim Il-sung o a Francisco Franco. Una dittatura del “clientelato” che si muove per elargizioni e punizioni, per incarichi ed esclusioni, bastone di ferro e carote di opportunità. Qui si è affermata una pratica politica che ha regalato la città a pochi gruppi privati. Con la complicità e l’avallo di commercianti, imprenditori, professionisti, società civile. “Arricchitevi” fu lo slogan di inizio trentennio, e l’invito non era rivolto ai cittadini che abboccarono, ma alle famiglie che per anni avevano sostenuto la Dc e da allora si sarebbero impegnate per il “nuovo corso”. Da anni, almeno dal 2006, quando con Alfonso Andria si tentò di spodestare il tiranno, nessuno parla più: le persone non si espongono, le librerie non ospitano libri non allineati, i giornalisti si muovono guardinghi, i politici, anche di opposizione, tacciono, la magistratura o non interviene o, quando è costretta a farlo, assolve precipitosamente. In questo blocco di potere, uscito misteriosamente indenne da diverse iniziative giudiziarie, una minoranza motivata tenta di uscire dall’impasse e chiama a raccolta personalità della cultura, della politica, delle professioni persone che hanno avuto incarichi anche di rilievo in altre stagioni, tra cui molti storici e accademici, per lanciare un sasso nello stagno. La città non è estranea a una solida tradizione antifascista che dal dopoguerra fino agli ’80 aveva prodotto generazioni di attivisti nella mitica Federazione Pci di via Manzo o nella sezione Di Vittorio di via Roma. Da queste parti cresceva un giovane quadro che per i modi bruschi e il piglio autoritario era stato soprannominato Pol Pot. Il nomignolo gli stava a pennello: De Luca non ha fatto massacri nella giungla, ma si è impadronito della città e poi della regione, il Pd è scomparso, ridotto a segreteria personale. Viene fuori così l’idea di una lettera a Letta, nella speranza di aprire una crepa nel groviglio di conflitto/protezione del partito che da anni consente a De Luca di farsi i fatti suoi. Il segretario Pd fa come l’oracolo di Delfi, non dice e non nasconde, ma accenna: me ne occuperò, ma c’è la guerra. La lettera va forte, raccoglie firme di peso come Sapelli, Urbinati, di scrittori come De Giovanni e Braucci, e intorno a essa si crea un effetto liberatorio. Si radunano frotte di entusiasti al Pan di Napoli; sulla piattaforma Change.org in quindicimila firmano contro il terzo mandato. Da questo rinnovato fervore nasce un libro, a futura memoria. Il gruppo raccoglie scritti sulle origini del personaggio, sui meccanismi manipolatori del consenso, sui disastri della sanità coperti dalle gag, sull’eterna questione rifiuti, sui danni alla cultura, sugli scempi urbanistici.
Il personaggio – e le sue politiche – vengono analizzati nei vari aspetti sociologici e filosofici, come fenomeno da studiare per capire come sia potuto accadere che dalla storia della sinistra siano venuti fuori questi golem, soprattutto al Sud. Diviso in due parti, i saggi e le storie, Il Monarca è un racconto plurale affidato a professori universitari, giornalisti, esponenti della società civile, molti con un passato di militanza a sinistra: oltre ai curatori vi hanno contribuito Licia Amarante, Fabio Avallone, Giuseppe Cantillo, Daniela De Crescenzo, Raffaella Di Leo, Vincenzo Iurillo, Paolo Macry, Marco Plutino, Isaia Sales, Aldo Schiavone, Pietro Spirito, Massimo Villone. Gente che ha assistito attonita a questa mutazione antropologica di un pezzo del proprio mondo che, abbandonando i tradizionali orizzonti di riferimento, spesso addirittura svillaneggiati pubblicamente, si è travestito da “estrattore” per succhiare risorse e impoverire il territorio. Un libro che cerca la genesi e le cause: come da Pol Pot si sia passati al “Monarca”, fino a diventare “una questione meridionale”. Non cambierà certo le cose, ma è una testimonianza che resta, fa discutere e muove, almeno un po’, le coscienze.