Corriere della Sera, 13 settembre 2022
Segregata dal fratello per 22 anni
Questa storia di una vedova di 67 anni segregata in casa da 22 dal fratello e dalla cognata, che oltre a tenerla prigioniera la picchiavano, impedendole persino di lavarsi, comincia con una lettera anonima inviata ai carabinieri di Bojano, in provincia di Campobasso. Un testo di poche righe, tutte battute a macchina. «Andate in quella casa... troverete una situazione indescrivibile, un orrore».
La segnalazione è giunta «un po’ di tempo fa», si limita a dire il capitano Edgard Pica, il comandante della compagnia che ha «avviato un’indagine con tutta la discrezione possibile». Accertamenti condotti bussando al bar, all’alimentari, chiedendo in giro. Non è stato facile ottenere risposte. «L’ambiente era piuttosto omertoso» dice asciutto l’ufficiale che venerdì ha coordinato il blitz disposto dalla procura di Campobasso diretta da Nicola D’Angelo. I militari hanno rotto il «lucchetto» rudimentale fatto da un fil di ferro attorcigliato a un grosso chiodo che, fissato sullo stipite, impediva alla donna di uscire dalla stanzetta nella quale ha trascorso circa 22 anni. Privata della possibilità di parlare con chicchessia, è rimasta reclusa in quella stanza, senza riscaldamento e senza bagno, con i muri scrostati e del cemento grezzo al posto del pavimento.
Il casolare era a un paio di chilometri dalla piazzetta centrale di Casalciprano, borgo di 600 anime nell’entroterra, un dedalo di viuzze strette tra abitazioni vecchie di secoli, assai apprezzate dai turisti in arrivo da queste parti per trovare buona cucina e quiete. La donna è stata trovata in «condizioni precarie» e il racconto che poi ha fatto, in audizione protetta davanti alla psicologa nominata dalla Procura, è un incubo.
Tutto ha inizio nel 1995 quando lei – che non ha deficit cognitivi e semmai, ora che è finalmente libera, ha «una gran voglia di parlare» – resta vedova dopo che il marito è morto in poco tempo per via di un male incurabile. Per non restare in solitudine (abitava in un altro comune) accoglie l’invito del fratello – un operaio più giovane di lei – che, d’accordo con la moglie, casalinga, decide di ospitarla mettendole a disposizione quella che era stata la stanza dei genitori. I primi cinque anni di convivenza trascorrono in tranquillità ma poi scatta la prigionia nell’angusta «cella» nella quale si poteva accedere solo attraverso una scala a chiocciola esterna.
Il resto è il buio, la reclusione. A Casalciprano questa donna diventa invisibile: resta senza cure mediche e solo sporadicamente viene accompagnata da una conoscente del fratello per un taglio di capelli alla buona, peraltro sorvegliata a vista dalla cognata. La vita che le scivola addosso è una normalità di schiaffi, insulti, umiliazioni.
Ma cosa può aver fatto scattare la decisione di segregarla? Gli investigatori sono molto cauti. A riguardo la donna non avrebbe espresso una motivazione chiara. Ma non è improbabile che in questo scenario di degrado il fratello abbia deciso di impossessarsi della pensione di reversibilità della sorella, una somma tra l’altro piuttosto bassa perché frutto di pochi anni di contribuzione previdenziale ma comunque, con ogni probabilità, ritirata ogni mese dai due.
Marito e moglie – con una figlia sposata, da tempo via da Casalciprano ed estranea alla vicenda —, non ancora interrogati, sono stati denunciati per sequestro di persona e maltrattamenti. Non è stato disposto l’arresto perché (con la loro vittima che ora è ospite in una residenza protetta) non c’è il rischio di reiterazione del reato. L’indagine comunque non è terminata. Gli investigatori vogliono capire come mai nessuno si sia accorto prima della «sparizione» della vedova. «In paese non la vedevamo mai – taglia corto uno degli abitanti del borgo —, pensavamo si fosse chiusa nella sua solitudine per sua scelta».
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«Ma davvero siete venuti qui per liberarmi? Io in questo posto non voglio più starci...». Quando i carabinieri della compagnia di Bojano hanno aperto la porta della sua «prigione», questa donna di 67 anni – che subito agli uomini dell’Arma è apparsa terrorizzata, gli occhi sgranati, il corpo esile – sulle prime non voleva parlare. Ma poi le parole rassicuranti – «signora, non abbia paura, siamo qui per lei» – l’hanno convinta. Allora «ha sorriso per qualche istante per poi iniziare a piangere, un pianto liberatorio» racconta uno degli investigatori che venerdì ha preso parte al blitz nel casolare alle pendici della collina su cui è arroccato il borgo medievale di Casalciprano.
Dal 1995, rimasta vedova, la donna viveva qui con il fratello e la moglie che da un giorno all’altro avevano deciso di toglierle la libertà, trasformandola in una reclusa, in quel tugurio sporco ricavato accanto a una legnaia: la prigione da cui l’hanno portata via i carabinieri. Lucida e chiara, in audizione protetta, assistita dalla psicologa nominata dalla procura, ha cominciato il suo racconto così: «Non mi facevano fare nemmeno il bagno... Potevo lavarmi una volta al mese nella vasca del bucato». La donna ha riferito di essere stata segregata, «ridotta al silenzio, erano schiaffi e insulti se parlavo senza che prima mi dessero il permesso». E poi: «Mangiavo ciò che mi davano, richieste fatte a voce dalla finestra...».
Nella stamberga in cui è stata detenuta per 22 anni non c’era nemmeno il riscaldamento e «d’inverno, per riparami dal freddo, usavo delle coperte... Poi indossavo gli abiti che avevo con me quando mi trasferii. La televisione? No, non c’era».
Il capitano Edgard Pica, al quale è stata indirizzata direttamente la lettera anonima che ha permesso di aprire l’inchiesta, di questa donna «messa a dura prova» è rimasto colpito dalla «capacità di “resilienza”. In lei ha vinto la capacità di sopportare le gravissime privazioni subite, dalla libertà personale a quella di parola e di autonomia, mostrando un desiderio di vivere e di uscire dall’incubo in cui ha vissuto». Non solo. La vedova «in ogni occasione chiedeva aiuto con tentativi rimasti per troppo tempo inascoltati». Lo ha fatto forse contattando, chissà come, qualche conoscente: magari proprio uno di quelli che ha inviato la segnalazione anonima.
Eliseo Castelli, 47 anni, sindaco di Casalciprano, assicuratore di professione e vicepresidente regionale dell’Anci, adesso si dice «rasserenato per il fatto che questa vicenda è emersa e che a questa donna è stata ridata la libertà». Il primo cittadino racconta orgoglioso che «sono stati i nostri servizi sociali ad avere preparato la relazione che ha permesso di avviare gli accertamenti ufficialmente». Quanto alla vedova, «faccio il sindaco da 12 anni ma ricordo di averla vista solo qualche volta, da giovane. Poi non ho più saputo nulla di lei. Chi avrebbe dovuto segnalare eventuali problemi? Forse il medico di base».
Ma il fratello e sua moglie? «Due persone affabili, cordiali: devo dire che se mi avessero raccontato ciò che poi ho appreso non lo avrei mai creduto».