Corriere della Sera, 12 settembre 2022
87 toghe in corsa per 20 posti al Csm
«Io non sono mai stato iscritto a una corrente, mi sono dedicato solo al lavoro con grande passione, secondo alcuni anche troppa...», dice Henry John Woodcock dalla macchina che lo sta portando a Pescara, nuova tappa della sua campagna elettorale. Non per il Parlamento ma per il Consiglio superiore della magistratura: il 18 e 19 settembre, una settimana prima delle elezioni politiche, i magistrati italiani voteranno i componenti togati del prossimo organo di autogoverno, e il pubblico ministero anglo-napoletano è in lizza come indipendente. Uno degli 87 candidati per 20 posti divisi per funzioni: 2 di Cassazione, 5 pm e 13 giudici di merito, con un sistema misto tra proporzionale e maggioritario.
«Le correnti in passato hanno svolto un ruolo importante – spiega Woodcock —, ma oggi può essere utile l’apporto di chi ha fatto sempre e solo il magistrato, magari con qualche turbolenza».
Da una visita negli uffici giudiziari della Lombardia replica Mario Palazzi, pm romano candidato del gruppo progressista Area: «Chi aderisce a una corrente aderisce a un’idea della giurisdizione, a valori che gli elettori possono conoscere e valutare. Quando si viene scelti come rappresentanti non contano solo le storie personali». Dopo essersi incontrati sulla via dell’accidentata inchiesta Consip, in cui Woodcock finì indagato da Palazzi per una fuga di notizie (poi ci fu l’archiviazione chiesta dalla stessa Procura di Roma), ora i due pm affrontano questa sfida a distanza, in due collegi diversi: uno al Sud e l’altro al Centro-Nord.
Accusato spesso di aver condotto indagini rumorose svanite in altrettanti flop giudiziari, Woodcock liquida l’addebito con aplomb inglese («La campagna elettorale non è la sede per parlare dei miei procedimenti, chi è interessato può documentarsi sul loro esito») e preferisce soffermarsi sulla propria scelta: «Nel distretto di Napoli e Salerno, tra 1.200 magistrati non c’era un pm disposto a mettersi in gioco, e allora l’ho fatto io, con una candidatura che “spariglia”. Penso che la magistratura abbia bisogno di riacquistare credibilità all’esterno ma pure al proprio interno, con comportamenti che ci riavvicinino agli altri cittadini, facendoci sentire uguali e non un gradino sopra». Quanto alle riforme, quella appena approvata «rischia di accentuare gli aspetti burocratici del nostro lavoro». Il centro-destra favorito alle elezioni politiche vuole introdurre la separazione delle carriere tra giudici e pm, malvista dalla maggioranza delle toghe, ma Woodcock preferisce soprassedere: «È un argomento così delicato da meritare un’intervista a parte». Palazzi invece lo inserisce tra «i soliti refrain ideologici che non incidono sulle legittime aspettative dei cittadini. C’è un completo disinteresse per riforme utili a far funzionare la giustizia come gli organici, l’edilizia giudiziaria o una razionale depenalizzazione, mentre si ritorna a proporre di “riformare i magistrati”, con la burocratizzazione del lavoro e la stessa separazione delle carriere».
Dario Scaletta, pm antimafia a Palermo e candidato di Magistratura indipendente, la corrente togata considerata più a destra, è contrario, «non solo per rispetto ai precetti costituzionali, ma anche per la personale esperienza maturata in oltre vent’anni di carriera, passando da una formazione di civilista a rappresentante dell’accusa. Con un pm ancorato alla cultura della giurisdizione si garantisce meglio la funzione di presidio di legalità per le parti offese e pure a tutela dell’indagato».
Quanto all’esigenza di sottrarre il Csm a «logiche di potere e correntizie», Scaletta ritiene che per le nomine si potrebbero «introdurre fasce di anzianità e criteri di priorità per evitare che valutazioni contrapposte trascendano in arbitrio; servirebbero punteggi specifici uniformi per evitare che la provenienza dallo stesso territorio diventi in un caso un vantaggio e in un altro un handicap. Le decisioni devono essere prevedibili come quelle giudiziarie, pur lasciando al Consiglio un certo margine di discrezionalità».
I diversi schieramenti che votano compatti, per Scaletta sono «un fatto fisiologico se frutto di identità valutative o culturali, e patologico se rispecchiano solo logiche di appartenenza», ma la crisi delle correnti avrà un peso in queste elezioni. La più colpita dal cosiddetto «scandalo Palamara» è la “centrista” Unità per la costituzione che al Sud candida il pm di Catania Marco Bisogni; il quale con l’ex pm radiato dall’ordine giudiziario ha avuto scambi di accuse arrivati agli annunci di reciproche querele.
«Il mio gruppo ha mutato completamente classe dirigente – chiarisce – e le modalità di selezione dei candidati, siamo stati scelti dalla base e non calati dall’alto come in passato. Il Csm deve garantire il massimo di trasparenza nelle sue decisioni, che non riguardano solo le nomine ai vertici degli uffici».
Anche Bisogni è contrario alla separazione delle carriere perché «un buon pm deve essere il primo giudice e non l’ultimo poliziotto incontrato da un cittadino sotto inchiesta, mentre penso che come primo atto il Csm debba darsi un nuovo testo unico con regole chiare. Per le nomine dev’essere valorizzato il lavoro giudiziario svolto, che deve prevalere sulle medagliette o altri incarichi. E per le valutazioni dovremmo interloquire con i magistrati degli uffici, portando elementi di democrazia nelle scelte».
Su questo Woodcock si spinge ancora più in là: «Non sono contrario ai giudizi di avvocati e professori, non mi piace l’idea della separatezza della magistratura dal resto della società. Io posso promettere un metodo di lavoro: decidere approfondendo ogni questione attraverso la lettura delle carte, pure nei procedimenti disciplinari o i trasferimenti d’ufficio, dove la matrice deontologica del giudizio non giustifica la violazione delle regole».
Da un altro fronte, Mario Palazzi ribatte: «La questione morale al nostro interno resta una priorità, ma la furia iconoclasta purtroppo presente anche nella magistratura è solo un assist per chi, da fuori, anela a un Csm trasformato in silente ufficio del personale».
Voci dall’altra campagna elettorale, di pm a caccia di voti togati.