la Repubblica, 11 settembre 2022
Intervista a Luca Guadagnino, Leone d’argento
Luca Guadagnino, Leone d’argento alla regia per
Bones and all(e il Premio Mastroianni alla protagonista Taylor Russell), arriva alla cerimonia accompagnato dalla madre Alia. Sul palco il regista, unico italiano premiato dei cinque in concorso, inforca gli occhiali: «Fare film è sempre stata la mia vita da quando avevo otto anni e facevo gli esperimenti in Super8. Bones and allè un matrimonio speciale tra Italia e America, il cinema non conosce geografia e confini». Poi si rivolge a Julianne Moore: «Vorrei dire alla giuria, credete che ci sia posto nel mondo per i mostri?
Grazie» dice alludendo ai due giovani cannibali del suo film.
Dedica il premio «ai registi iraniani Rasoulof e Panahi, arrestati per sovversione. Viva loro, viva la sovversione, viva il cinema».
All’uscita, Guadagnino bacia la statuetta: «Devo tutto a Alberto Barbera, che mi scelse vent’anni fa per presentare qui The protagonist .
Vengo dal ‘93, è come tornare a casa, dagli amici, dalla famiglia. La mia vita professionale coincide con Venezia».
“Bones and all” è un film intenso, viscerale, racconta una generazione abbandonata dai padri.
«Il primo movimento emotivo è stato leggere la bellissima sceneggiatura di David Kajganich, il secondo è stato ritrovare Timothée, trovare Taylor e creare questa meravigliosa famiglia di attori. Il film è stato per me un modo per processare una serie di perdite, è mancato mio papà pochi mesi prima di leggere il copione.
Ho condiviso con il mondo il sentimento di solitudine e isolamento dato dal Covid.
Abbiamo vissuto tempi estremi che hanno messo in difficoltà la nostra idea del sé, della società. Non è un caso che ho ricevuto questa sceneggiatura in quel momento e che, malgrado i mille progetti, abbia deciso di immergermi in questa storia estrema: non tanto perché fa sensazione, ma perché è estremamente profonda nel guardare al desiderio di ritrovarsi nello sguardo dell’altro e combattere la propria idea del sé».
I suoi film sanno raccontare e arrivare a un pubblico giovane.
Quanto è stata importante la collaborazione con Chalamet, che ha letto per primo la sceneggiatura, e Taylor Russell.
«Lavorare con Timothée è una gioia assoluta. Era la persona che desideravo con forza in questo film. Taylor è stata la mia unica idea per questo ruolo. Timothée è stato estremamente generoso perché, come dice sempre lui, questo è il film di Taylor ed è stupendo vedere come lui ne abbia sostenuto il viaggio straordinario. Gli attori sono creature complesse, ma hanno una caratteristica che ammiro: la capacità di abbandonarsi allo sguardo di un altro e fidarsi».
Le scene di cannibalismo sono crude e forti.
«Per me le cose si mettono in scena nel modo in cui appartengono alla loro natura. Ci siamo posti delle domande pratiche: come si mangia una persona? In che posizione ti metti?
Come prepari il banchetto? Come masticare carne umana? Allo stesso tempo abbiamo anche capito che il punto non era quello ma siamo stati, credo, abbastanzadiscreti».
Il direttore Barbera ha detto che ci voleva un italiano per raccontare il Midwest, i margini dell’America, come non si vedeva da tempo.
«Sono molto amico di David, lo sceneggiatore, che è dell’Ohio, uno Stato che mi è familiare. L’America che metto in scena rappresenta il conflitto profondo tra il fallimento del capitalismo, l’idea della potenza che fallisce nel tradire una promessa di felicità; e la tensione costante degli americani a pensare, sognare, mettere in pratica il principio della felicità a cui credono di avere costituzionalmente diritto».