la Repubblica, 10 settembre 2022
Le fatiche di Elisabetta fino all’ultimo giorno
Solo i suoi coetanei possono capire la lancinante fatica con cui la regina deve aver accolto Liz Truss, la terza signora (tutte Tory) dei 15 premier che aveva visto chinarsi davanti a lei nei settant’anni di regno: due giorni prima di lasciarsi andare. Ed era come se non lei, ma solo la sua immagine, avesse già abdicato: rimpicciolita, curvata, un golfino incolore contro il freddo degli addii, pallida, le labbra troppo rosse, lo sguardo smarrito, una manina data con fatica a una signora un po’ goffa, incarnazione di chi davvero conta oggi, senza storia né grandezza, né stile. Né futuro.
Lei invece, già lontana, eppure ancora regina. Chissà se sfinita, sazia di doveri, sempre più indifesa verso il cedere di tutta se stessa, sentendo la fine senza troppa paura, non abbia pensato, con parole da sovrana, “Adesso lasciatemi in pace! Non rompetemi più le scatole! Concedetemi tutta a me stessa. A questa cosa ignota e solo mia che mi aspetta e su cui mi voglio concentrare per viverla sino in fondo. E poi che posso dirvi: Dio salvi il regno! Anche dal re! O da un’altra regina!” Aggiungendo, finalmente libera, “Se ve lo meritate!”.
Elisabetta è diventata regina in tempi in cui l’idea stessa di monarchia era già obsoleta, se non per immancabili intrighi d’amore, e se oggi ci viene in mente un trono, è solo quello di spade, con una dinastia che usa i draghi come aerei da turismo e guerra. Altri paesi hanno loro re o regine, che però girando in bicicletta e andando al supermercato, è come se non esistessero: mentre questa Elisabetta Windsor, erede di una dinastia improvvisata, donando la sua totale abnegazione a una istituzione fantasma e costosissima, l’ha resa fonte di ricchezza per il Paese: subito adottando cocchi d’oro tirati da 6 cavalli, guardie a cavallo con divise rosse e nei momenti più importanti, manto lunghissimo di ermellino, corona di diamanti pesante dieci chili e lo scettro, normalmente la sera per cene diplomatiche, un diadema del tesoro della Corona non suo ma a sua disposizione. Ma subito mettendo in piedi una infinita famiglia sino ai bisnipoti, di massima disubbidienza ed erotismi e cattive figure, e audacie istituzionali e tragedie, da consentire un quotidiano subbuglio dell’informazione mondiale e quindi di salute del Paese e della monarchia stessa, invano deprecata dagli inascoltati repubblicani.
Non so se i tanti studiosi dei reali inglesi si stanno chiedendo se la fortuna della monarchia anglosassone sia stata sino a ieri quelle di essere rappresentata da una regina, cioè da una donna, e non da un re, cioè da un uomo. Che una donna pur con corona non abbia potere se non in famiglia pare tuttora normale anche se deprecato: ma un uomo che se ne sta lì ad accarezzare orfanelli, o anche a vincere gare di polo e a incontrare capi di Stato, ma poi deve star zitto? E dover sempre dire di sì a un primo ministro che in più adesso è una donna di quasi trent’anni più giovane? Certo bisogna farci l’abitudine e comunque Carlo ne ha fatto una lunga con sua madre, che però, pur avendo 22 anni più di lui, sembrava minimo coetanea se non sorella di poco maggiore. Elisabetta è stata incoronata quando era giovane, 26 anni, ed era bella, innamorata, madre, con un coniuge molto decorativo; Carlo diventa Carlo III a 74 anni, l’aria un po’ sdrucita dall’attesa eccessiva, accanto la sua signora dei tempi lontani di passione e dolore, rimorso e vergogna, stanchi, in età da pensione e non di fervido lavoro, che non si guardano neanche più negli occhi; e che hanno come primo erede un giovanottone molto stempiato, senza sorriso e una moglie scalpitante: il trono spetta a suo marito, pare dire ogni minuto Kate, scarrozzando altri tre piccoli eredi (di cui uno di rara villania) con la sua muta vivacità e il turbinio delle sue immagini, di una magrezza adatta a indossare decine di abiti al giorno per mille occasioni soprattutto mondane.
Certo non per fare concorrenza alla suocera, la cara Camilla, 75 anni, regina consorte che non sa portare gli indispensabili cappelli, ma ancora, 25 anni dopo la sua morte, per fare concorrenza al ricordo non ancora sbiadito di Diana, che resterà sempre la regina del popolo, anche se certo fa effetto immaginarla plurinonna. Carlo IIl porterà divise rosse, decine di medaglie, ovunque, ovunque cordoni dorati, oppure giacche sportive o il tight: ma sono stati i cappelli della regina nei colori pastello dei cappottini, delle borsettine, a rendere il suo aspetto esempio di classe e regalità. Tentativi borghesucci di imitarla almeno ai nostri matrimoni in finti castelli con rinfresco per mille mangioni, un disastro.
Non come regina che è un mestiere probabilmente noioso e da caviglie gonfie, ma come donna Elisabetta avrebbe potuto ammaestrare anche le nostre donne a cavare il massimo ognuno dalla propria vita: ma si è scoperto che si fa più in fretta e con meno impegno a rifugiarsi nei lamenti e nelle brutture maschili. La regina invece ha sempre ignorato gli affronti, e ne ha ricevuti tanti almeno dalla famiglia e dall’informazione, non ha mai espresso vittimismi, si dice che abbia reagito alle possibili corna contraccambiandole e facendo finta di niente, ha accettato di invecchiare con dignità e grazia e quindi mantenendo una sua bellezza; ha taciuto quando doveva tacere, ha parlato quando era necessario; non ha mai espresso le sue idee politiche, ha cambiato quelle legate alla morale sociale: agli inizi in preda alla sete di perfezione, ha impedito a sua sorella Margaret di sposare il grande amore perché divorziato, rovinandole la vita, alla fine ha accettato, presenziando alle nozze, che il suo pronipote Harry sposasse una attrice divorziata di natali non eccelsi, di colore e molto capricciosa. Ha capito che il mondo va dove vuole e se sei davvero una che conta, non te ne deve importare nulla.