La Stampa, 10 settembre 2022
La Svezia violenta va al voto
La porta di casa di Balthazar è ricoperta da larghi schizzi di sangue ormai secco, il vialetto di ingresso brilla di cocci di vetro che scricchiolano sotto le suole. Sfrega via il sangue con una spazzola di plastica blu con rabbia.
Balthazar non sa cosa sia successo nella notte, e preferisce non saperlo, perché «è più sicuro». Ha paura di ritorsioni, ha paura di uscire, ha paura di guardare fuori dalla finestra di casa, ha paura di incrociare lo sguardo della persona sbagliata. «Nella vita sono scappato due volte - racconta -: trent’anni fa dal regime degli ayatollah, ora dalle gang». In Iran Balthazar era un insegnante di filosofia, qui in Svezia gestisce un piccolo chiosco nel centro di Rinkeby, sobborgo a Nord di Stoccolma. Gestiva, perché di spari, risse, coltelli e violenza non ne può più. «Il chiosco ormai ce l’hanno loro, e io scappo un’altra volta, un immigrato che scappa dagli immigrati, buffo no?».
A Rinkeby di donne senza velo non se ne vedono più, molte indossano quello integrale. Il centro comunale aperto nel 2016 per aiutarle a imparare la lingua e un mestiere ha chiuso. Non ci andava più nessuno. La sera spariscono in casa, ed è la città di sotto a uscire allo scoperto: vedette agli angoli, passaggi di bustine, gruppi di giovanissimi stretti nei giubbotti neri che guardano storto chiunque si avventuri nel loro territorio. Rinkeby "appartiene" ai Death Squad, lo squadrone della morte, e ai rivali Skorpions, gang formate da giovanissimi immigrati somali che controllano il mercato della droga a Nord della capitale. Dal 2015 le due bande si contendono il controllo della piazza, e solo a loro sono riconducibili dieci omicidi e altrettanti tentati omicidi. Rinkeby è replicata in altre decine di sobborghi sparsi nel Paese, da Malmö a Götheborg, fino a Stoccolma, il simbolo del sogno infranto: secondo la polizia nazionale la Svezia sarebbe in mano ad almeno 30 gang, con oltre mille membri attivi, dai 13 ai 45 anni. Le statistiche aggiornate al 1° settembre, mostrano che quest’anno 47 persone sono già state uccise a colpi di arma da fuoco e 74 sono rimaste ferite. Nel 2021 45 persone erano state uccise, 115 i feriti. Numeri altissimi per un Paese con dieci milioni di abitanti, impensabili per un Paese come la Svezia, dove fino a pochi anni fa non si chiudeva a chiave la porta di casa.
Un rapporto dello scorso anno del Consiglio nazionale svedese per la prevenzione della criminalità ha mostrato che, su 22 Paesi europei con dati comparabili, solo la Croazia ha avuto più morti per armi da fuoco pro capite negli ultimi quattro anni. La paura, il sangue, la divisione, "noi" e "loro". Quel "noi" e "loro" che per Olof Palme era una distinzione blasfema è diventato in pochi anni la radice su cui si decide oggi il futuro del Paese.
La Svezia che domani andrà a votare per rinnovare il parlamento è un Paese irriconoscibile, trasfigurato dalla paura, dalla violenza, dalle disuguaglianze economiche e dalle fratture sociali. Per la prima volta nella storia moderna del Paese scandinavo il problema da affrontare è la battaglia contro le gang criminali che hanno trascinato la Svezia nella paura e hanno riempito le cronache di scontri a colpi di bombe e pistole, proiettili vaganti e sparatorie in strada per il controllo del mercato della droga. Una guerra tra gang che ha trasfigurato uno dei Paesi più sicuri d’Europa.
Quelle di domani saranno elezioni drammatiche, una presa di coscienza di una nazione che, a prescindere dall’esito del voto, sta facendo i conti con la propria fallibilità e con la fine del mito, la fine dell’utopia realizzata. La Svezia paga la gestione forse troppo "morbida", sicuramente troppo ingenua, dei flussi migratori, che ora sono l’unico tema della campagna elettorale e il primo combustibile dell’estrema destra. Perfino i socialdemocratici, al governo da due legislature, hanno finito per infrangere l’ultimo tabù, associando l’esplosione della criminalità all’integrazione fallita dei migranti. La premier socialdemocratica Magdalena Andersson ha detto che il suo obiettivo è che in futuro non ci siano «gruppi etnici» così «estremi» nelle grandi città come ce ne sono oggi, ovvero che non ci fossero più dei ghetti: «Non vogliamo avere Chinatown in Svezia, non vogliamo avere Somalitown o Little Italy. L’emarginazione è andata così lontano che la Svezia ora ha società parallele. L’integrazione è stata troppo scarsa mentre invece i flussi migratori sono stati imponenti». Parole che, solo quattro anni fa, qui erano impronunciabili.
Il tabù della correlazione tra criminalità e migranti, storico cavallo di battaglia dell’estrema destra, pare aver contagiato, in parte, anche i socialdemocratici al governo, spostandoli più a destra, così come avvenuto in Danimarca, Finlandia e Norvegia. Gli svedesi andranno alle urne divisi, sia nei numeri sia nei principi. E il rischio di un periodo di instabilità è quasi una certezza con i due blocchi (centro-destra e centro-sinistra) a rincorrersi per una manciata di voti, mentre la formazione dei Democratici svedesi, nata nel 1988 dal gruppo neonazista Bevara Sverige Svenskt, è diventata il secondo partito del Paese dopo i socialdemocratici.
Le elezioni del 9 settembre 2018 erano finite con un parlamento sospeso e le coalizioni rosso-verde e centro-destra a tentare di formare un governo. Ci misero quattro mesi, e decine di tentativi. La spuntò il premier socialdemocratico Stefan Löfven il 18 gennaio 2019. Anche questa volta il rischio di un testa a testa è alto, ma la differenza sostanziale rispetto a quattro anni fa è che una coalizione che includa i Democratici svedesi, partito esplicitamente xenofobo, è un’opzione sul tavolo. Finora tutti i partiti avevano chiuso la porta in faccia agli Sveriges Demokraterna per via delle loro posizioni politiche estreme, ma ora, visto anche il bacino di voti (20%), la situazione è cambiata: molti partiti di destra sono pronti, per la prima volta, a collaborare.
Anche Mia e Gustav Ekstrom sono fuggiti dal ghetto di Rinkeby, proprio loro, giovanissimi insegnanti appena sposati, ferventi socialdemocratici, che quattro anni fa avevano deciso di dimostrare nella pratica che l’integrazione è possibile: «Pensavamo fosse più facile - dice Mia al telefono da Linkoping -, ma alla fine era diventato troppo pericoloso, vivevamo nella paura, ogni sera succedeva qualcosa, abbiamo traslocato per la fatica di vivere così».
Nel 2017, l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva fatto una clamorosa gaffe twittando l’ormai famosa frase «Guardate cosa è successo la scorsa notte in Svezia», che suggeriva attacchi dinamitardi a opera di rifugiati. Allora l’hashtag #lastnightinSweden era diventato un tormentone, perché in Svezia non succedeva assolutamente niente. L’ironia è che 5 anni dopo quella frase suona profetica. «Ma voteremo ancora a sinistra - dice Mia -, crediamo ancora che l’unica strada siano l’accoglienza e l’integrazione, siamo svedesi».