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 2022  settembre 10 Sabato calendario

Peter Greenaway contro la monarchia britannica

Mentre la Gran Bretagna piange la Regina Elisabetta II e il resto del mondo la ricorda in quanto straordinaria icona pop, oltre che come figura simbolo del Novecento, Peter Greenaway, forse perché gallese e lontano da Buckingham Palace, coglie l’occasione della morte della sovrana per essere una voce fuori dal coro delle lodi che si tessono su scala mondiale. Il regista (ma anche sceneggiatore, montatore, pittore, scrittore) ha oggi 80 anni: 40 anni fa esatti era alla mostra di Venezia uno dei suoi film più celebri, «I misteri del giardino di Compton House». Ora è di nuovo al Lido, dove lo ha presentato nella versione rimasterizzata dal BFI National Archive, per poi tornare nelle sale dal 22 settembre. Fieramente Repubblicano, ma nulla di personale. Anzi, nel 2007 è stato anche onorato Commander of the Order of the British Empire proprio da Elisabetta II. «Sicuramente era una brava persona e aveva un grande senso di responsabilità».
Ma?
«Ma sulla dipartita della Regina ho pensieri che rispecchiano le mie idee repubblicane: per me questa potrebbe essere l’occasione di abolire la monarchia e creare una repubblica, come avete qui in Italia».
Eppure l’ondata di commozione per Elisabetta è forte e trasversale: proprio nulla da salvare della monarchia?
«Penso che un Paese abbia bisogno di una figura di riferimento. Dalla Regina però ci si aspettava che non avesse un’opinione su niente. Ma non è una cosa umana. È una scelta di convenienza. Questa donna nata nel privilegio, che probabilmente non si meritava, ha contribuito a portare avanti la monarchia, che è un’istituzione fondata sullo sfruttamento degli altri. Poi, certo, ci sono politici che in realtà sono uomini di spettacolo: come Berlusconi, che mi ha fatto ridere per anni, e Trump».
Quindi anche Carlo III secondo lei è destinato a non combinare nulla di buono?
«Ci sono stati re terribili, come Richard III, il cui corpo è stato trovato in un parcheggio a Leicester qualche anno fa. Hanno fatto dei test del Dna analizzando le sue ossa e si è scoperto che si trattava proprio di lui. Si cibava di carne bianca e aveva davvero la spina dorsale curva, come ha scritto Shakespeare. Aveva anche una lancia infilata nel retto, perché chi l’ha ucciso voleva umiliarlo. L’idea che sia la genetica a fare un buon re è una sciocchezza. Forse dovrei sussurrare questa cosa: ma guardiamo a Carlo, cosiddetto III…».
Lei ora vive in Olanda, anche lì c’è la monarchia. Meglio o peggio che in Inghilterra?
«Il problema è lo stesso: le probabilità di generare ogni volta un sovrano meritevole, in grado di governare un Paese, è praticamente impossibile. È per questo che l’America è partita così bene, ricominciando da zero. Ma poi ha cercato di creare re artificiali, fino ad arrivare a Trump. Credo sia per questo che Game of Thrones abbia così tanto successo: gli Americani vogliono fare giochi di potere, ma senza una vera famiglia reale».
«I Misteri del giardino di Compton House» usciva nel 1982: Carlo e Diana erano sposati da un anno, nasceva il principe William. Nel film c’è una ricca signora che ingaggia un pittore per riscrivere la sua verità: crede ancora che siano sempre i privilegiati a scrivere la storia?
«È sempre così. La questione centrale è dove si posiziona l’artista. Cerca di farsi un nome e allo stesso tempo ha bisogno di guadagnare soldi. Faccio soprattutto film su persone che disegnano, dipingono e creano immagini: è un modo di raccontare me stesso, perché è ciò che faccio anche io. Per me non c’è cosa più importante che essere un pittore. Fare un ritratto di noi stessi, della nostra civiltà, delle nostre idee è fondamentale. Abbiamo fatto dipinti per migliaia di anni: pensiamo alle pitture rupestri ritrovate nel sud della Francia. Il cinema invece esiste soltanto da duecento anni».