ItaliaOggi, 10 settembre 2022
No al ristorante Testa di moro
Non andate al ristorante «Testa di moro», i sostenitori del politically correct hanno lanciato una campagna contro il locale Zum Mohrenkopf a Kiel, sul Baltico. Peccato che il proprietario e gestore del locale, sia il nigeriano Andrew Onuegbu, orgoglioso del suo colore. «Chi mi contesta» sogghigna «evidentemente non è mai stato mio cliente, altrimenti mi avrebbe conosciuto. Eppure mettono in internet critiche negative sulla mia cucina. Credono di attaccare un razzista e invece tentano di rovinarmi. Ma non ci riescono».
Dal Nord al Sud, in Baviera è sotto attacco anche il Cafè Mohrenkopf, che non intende cambiare nome. Forse non varrebbe la pena di parlare ancora della mania del politicamente corretto, se non fosse per la reazione dei presunti colpevoli: basterebbe dire no.
Tempo fa, è stata chiesta la rimozione dalla Gemälde Galerie a Berlino del capolavoro di Caravaggio, Amore terrestre, perché osceno, un giovinetto nudo e trionfante. Un invito alla pedofilia? Andava nascosto in magazzino. Il direttore del museo rispose: «Non ci penso affatto». E il quadro è rimasto al suo posto.
Il Mohrenkopf è un piccolo caffè a Ingolstadt, la città della Audi sul Danubio, e riceve proteste via internet: Il nome è razzistico, discriminante, intollerabile, deve essere ribattezzato. Il guaio è che sul sito dove vengono riportati i giudizi dei clienti, danno voti negativi che danneggiano il locale.
«Ognuno può scrivere quel che pensa», si arrabbia il proprietario, «ma i giudizi andrebbero motivati. Nessuno è perfetto, se la critica è fondata noi siamo pronti a migliorare, ma chi scrive non è mai venuto nemmeno a Ingolstadt, ci attaccano solo per il nome».
Perché non pensa di cambiarlo? «Sarebbe cedere a questi intolleranti», ha risposto, «i miei ragazzi, camerieri, baristi, sono bravi, e lavorano sodo per il locale». In rete, è sostenuto anche dai clienti, che lodano il suo caffè e le torte. «Der Name bleibt!», il nome rimane. A Ingolstadt il locale esiste da decenni.
Andrew Onuegbu è stato invitato alla trasmissione Hart aber fair, duro ma leale, una delle più seguite dell’Ard, il primo canale pubblico.
«Non ho bisogno di qualche bianco che mi spieghi quando la mia sensibilità viene ferita». E ha continuato dando una lezione di storia agli intolleranti di oggi: «Mohrenkopf è un nome diffuso in Germania fin dal Medioevo, ed era inteso in senso positivo, una garanzia di buona cucina. Io voglio rimanere fedele a questa tradizione».
In Tv ha raccontato due aneddoti, con clienti che lo avevano scambiato per un cameriere: «Perché lavora per un nazista?» lo ha rimproverato un uomo. E una signora gli ha detto: «Non voglio parlare con lei. Mi chiami il suo capo fascista». Quando ha risposto che il proprietario era lui, non hanno desistito: «Deve cambiare nome al locale, non è accettabile». Non capivano, ha commentato Andrew, che erano loro i razzisti: non volevano credere che io fossi il proprietario, e mi ritenevano così stupido da non capire che ero una vittima del razzismo. Ed ha concluso: «Sono orgoglioso di essere un moro».
A Berlino, resiste la stazione del metro Onkel Tom Hütte , la capanna dello zio Tom. Un nome schiavista? Non si riferisce al romanzo uscito negli Stati Uniti nel 1852, ma a una vecchia locanda nel vicino bosco, che esiste tuttora.
Invece, il tribunale amministrativo della capitale ha appena respinto la denuncia di un cittadino, che protesta contro il cambiamento di nome alla Mohrenstrasse, in pieno centro. Possono opporsi solo gli abitanti della strada, e lui vive in un altro quartiere.
Ma non è finita, sono al vaglio altre denunce. Sulla Mohrenstrasse si trovava l’ufficio stampa della Germania Est, è un indirizzo storico, e la strada esiste dal 1708. Era un omaggio ai tanti «mori» che lavoravano nella capitale prussiana, erano anche musicisti della banda militare, e molti di loro risiedevano in questa strada. Un omaggio, non un insulto, ha affermato lo storico Götz Ali, che discende da un funzionario turco che lavorava alla Corte del Re di Prussia: «Volete cancellare la storia, ma non la conoscete».