Corriere della Sera, 10 settembre 2022
Lunga intervista a Fiorello
«La felicità non è un sentimento assoluto, noi proviamo solo momenti di felicità, “felicità a tratti”, come cantava Tonino Carotone. Certo, se pensi alla carriera, alla riuscita nel lavoro, ai figli meravigliosi, pensi di aver raggiunto la felicità. Ma non è così. Una volta ho fatto un viaggio con mio padre, c’era un caldo afoso, torrido e lui ferma la macchina nei pressi di Acireale e mi dice (accento siciliano): “C’è troppo caldo, ora ci fermiamo e ci facciamo il bagno?” E io: “Ma non si può, non abbiamo il costume”. “Non ti preoccupare ce lo facciamo con le mutande”. Questa sorta di trasgressione mi fece impazzire, ero piccolo, lui mi teneva per mano mi faceva girare in acqua. Ecco, in quel momento ho provato la felicità. Qualcosa del genere ho provato quest’estate con mia figlia Angelica, perché è sempre difficile avere un dialogo con un’adolescente. Io e lei da soli in scooter, poi siamo andati a fare un bagno, guardandoci negli occhi. Se ci penso mi commuovo».
È inevitabile parlare di felicità con Rosario Tindaro Fiorello; ne ha regalata tanta in tv. Da spettatori sappiano cos’è la felicità non tanto perché ne possediamo il concetto, ma perché a volte ne abbiamo sperimentato la condizione, anzi la conduzione, quella di Fiorello. Quei giri nell’acqua ritornano nelle sue parole, come un’onda della memoria.
«Il ricordo più bello della mia infanzia, avrò avuto cinque o sei anni, è la Befana della Guardia di Finanza, ci andavo mano nella mano con mio padre. Ogni anno il comandante della compagnia offriva regali ai figli dei finanzieri: era molto eccitante, non ci dormivo la notte, anche perché erano regali che, all’epoca, non ci saremmo potuto permettere. Era il momento più felice dell’anno, più di Natale. Che poi i regali erano sempre gli stessi: mi sono beccato per tre anni di fila la roulette (sarei dovuto diventare un giocatore d’azzardo) e poi per altri due “L’allegro chirurgo”.
Mio padre era l’artista di famiglia, era la nostra autoradio. Quando facevamo dei viaggi, e per viaggi s’intende Augusta-Letoianni, poco meno di 100 km, ma per noi era il Viaggio. Andavamo in vacanza nel paese natio di mio padre dove c’era la casetta della nonna e passavamo tutta l’estate là. Cantava tutte le canzoni di Modugno, deve aver influenzato Beppe. Lui cantava e mia madre gli ripeteva sempre “non camminare in mezzo, mettiti di lato”. Uno cantava, l’altra faceva da navigatore. Mia madre si chiama Rosaria come me: quando stavo per nascere ebbe una complicazione molto grave, i medici la davano per spacciata e io con lei. Miracolo, alla fine ci siamo salvati tutt’e due. Io mi sarei dovuto chiamare Raffaele, come mio nonno, a quel punto mio padre decise di chiamarmi come mia madre. Rosaria Galeano detta Sarina. Con mia mamma c’è un legane molto forte che scaturisce da questo evento.
Sarina, che ora ha 87 anni, è la dedizione in persona, ha sempre fatto il suo lavoro quotidiano di madre con grandissimo amore. Per lei mandare fuori i figli pettinati e puliti era un punto d’onore, quello che ci mancava a livello economico non doveva intaccare la nostra dignità. Se io arrivavo con le scarpe infangate lei non le puliva, le faceva diventare nuove. Ancora oggi, tutte le mattine (lei ora vive a Roma), ci prendiamo il caffè assieme, discutiamo di cose, le si è sviluppato un notevole senso dell’umorismo, forse inconsapevole. Per esempio, io comincio ad avere piccoli problemi di memoria. Una mattina le dico “sai mamma comincio ad avere un problema, io non mi ricordo i nomi delle persone”. Pausa: “Ma almeno i cognomi te li ricordi?”. Il tutto con tempi comici perfetti.
E poi è una grande cuoca, fa bene le cose semplici, specialità siciliane. “Mamma mi fai due sarde a beccafico”, ma c’è da impazzire dalla bontà. Da piccoli, l’evento era la pasta al forno domenicale. E poi pasta e fagioli, ma quello che noi figli amavamo di più era grattare il resto della pentola, il bruciacchiato che si attaccava sul fondo.
C’è una cosa che mi è rimasta nel cuore: la prima volta che mio padre disse: “Hanno aperto una pizzeria” (imitazione del padre). Fino ad allora per noi la pizza era cosa che si faceva in campagna nelle teglie. Eravamo a Riposto, vicino a Catania, la pizzeria si chiamava “Gallo rosso”. Quando assaggiai per la prima volta la pizza dissi “da ora mangerò solo pizza”: ancora oggi è il mio piatto preferito: bianca, con la mozzarella e il prosciutto cotto, non patanegra».
Anche in un’intervista viene fuori l’unicità di Fiorello. Che consiste nel raccontare le cose normali con uno stato d’animo diverso e, soprattutto, nel saper trasmettere a chi lo ascolta questa nuova disposizione. È impossibile tradurre in parole i suoi racconti, perché alla parola scritta manca il suo ritmo, la sua gioiosità, le sue improvvisazioni. Se nomina una persona, subito la imita come se dentro di lui abitasse una moltitudine di personaggi. Sta per accennare al suo lavoro, ma il ricordo è ancora per suo padre.
«Il momento più triste della mia vita è stata la morte di mio padre, aveva solo 59 anni, io ora ne ho 62 pensavo di non farcela a superare i 59. Stava ballando con mia madre, si è assentato un attimo: “Sarina ho dimenticato le sigarette in macchina, torno subito”, e l’hanno trovato morto seduto sul sedile. Io ero all’inizio della mia carriera, a Sanremo con Radio Deejay (non so se l’ho mai detto ma la mia ritrosia per Sanremo nasce da questo evento), chiamavo casa e non mi rispondeva nessuno. Poi ho fatto un giro di parenti e mi dissero che mio padre stava male, di tornare subito (in realtà era già morto). Sono corso nella notte a Pila, in Val d’Aosta, a prendere mio fratello che lavorava lì e insieme siamo tornati in Sicilia per i funerali. Mi dispiace che mio padre non abbia visto nulla di quello che ho fatto, allora ero agli inizi. Il mare di Sanremo mi ricorda sempre le lacrime che quella sera ho versato per mio padre di cui avevo ancora tanto bisogno. Ho pensato pure di smetterla, di non tornare più a Milano, di finirla lì.
Certo, mi sarebbe piaciuto trasmettergli l’orgoglio per il mio lavoro, per quello che sono riuscito a fare. Da ragazzo pensavo: “Ma un giorno sarò in grado di badare a me stesso, di guadagnare per vivere? Che lavoro farò?”. Nella mia testa il mondo dello spettacolo non esisteva, volevo fare il calciatore. Sono stato molto orgoglioso della prima busta paga che ho preso quando ho cominciato a lavorare nei villaggi turistici: a fine mese mi pagavano, contratto a tempo indeterminato! Mi sono sentito realizzato solo quando sono riuscito a comprare la casa, una casa intestata a me, ad avere il tetto sopra la testa. Oggi però sono anche orgoglioso di essere riuscito a formare la mia famiglia: io, Susanna, Olivia e Angelica. Olivia è figlia del primo marito di Susanna, aveva già tre anni. Con Olivia ho cominciato a fare il padre e ci sono stati anche momenti di scontro. Lei mi diceva: tu non puoi sgridarmi, tu non sei il mio papà naturale. A me venne da risponderle: “Ricordati Olivia io non sono il tuo papà naturale, sono il tuo papà frizzante”. E con una battuta tutto si stemperava».
Se Rosario Tindaro fosse nato a Broadway staremmo qui a parlare di uno dei più grandi talenti dello show business. È capace di incrociare ambiti differenti (tv, radio, web, pubblicità…), è trasversale pur conservando sempre una propria identità, da vero mattatore della scena. Possiede un estro unico nel sollecitare l’attenzione degli spettatori, attraverso la battuta ma anche il corpo, la mimica, il canto, la parola. Conosce anche il valore della riconoscenza.
«Il miglior consiglio in campo professionale l’ho ricevuto da un capo villaggio, Enzo Ulivieri, quando lavoravo come animatore: “Tu non devi più lavorare al bar, tu devi fare l’animazione perché il tuo futuro è questo, tu questo non l’hai ancora capito” (imitazione di Ulivieri). Una sera, facendo dei giochi nell’anfiteatro, presi di mira due persone anziane, marito e moglie. Più li prendevo in giro, più la gente rideva. Ulivieri mi chiamò, io ero tutto contento “hai visto che bella serata?”. “Sì sì – rispose – ma ora prova a pensare se quelle due persone fossero state tuo padre e tua madre”, pausa. Io da quel giorno non mi sono più permesso di prendere in giro persone che non sono in grado di difendersi.
Mi piace sempre ricordare Bibi Ballandi perché è la persona che mi ha traghettato dalla prima alla mia seconda vita artistica. C’era la finale del Festivalbar 2000, per via di alcuni guasti tecnici Vittorio Salvetti mi spedì sul palco dell’Arena di Verona. Mi trovo davanti 14.000 persone e per 40 minuti ho dovuto improvvisare. In prima fila c’era Bibi: “Ma tu fai quelle robe lì, perché non le fai in televisione. Vieni in Rai. Tranquillo ci penso io” (imitazione di Ballandi). E ci pensò davvero, tanto che alla prima puntata di “Stasera pago io” mi fece trovare come ospite Dustin Hoffman, il mio attore preferito. Entro nel camerino e vedo questo omino piccolo in un angolo, come se avessi visto Rain Man, mi guarda, mi fa un sorrido da Kramer contro Kramer, mi apre le braccia e mi fa “Fiorello”. Questi non sono come noi, questi si preparano, sapeva chi fossi, mi abbracciò, disse in italiano una serie di parolacce che aveva imparato dalla troupe del film Alfredo Alfredo con Stefania Sandrelli. Oggi non esiste più il divismo, è finita l’aura di Hollywood: gli attori li vediamo ogni giorno sui social, nella loro quotidianità.
Poi devo molto a Giampiero Solari che mi ha convinto a fare teatro prima di preparare lo show televisivo: “Tu vai sul palco comincia a improvvisare, a raccontare quello che racconti a noi della tua vita”. Mi fece capire che quando racconti in pubblico delle cose poi ne vengono fuori delle altre. Era una specie di allenamento nei piccoli teatri delle Marche: “Prove tecniche di trasmissione con Fiorello”, non mettevamo neanche i manifesti ma solo semplici locandine. Con un minimo di talento ci devi nascere, poi le cose bisogna affinarle, ma la cosa più importante credo sia l’indole. Io sono sempre stato così, mi piaceva far divertire gli altri, a scuola, da militare».
Alla fine degli anni Ottanta, Bernardo Cherubini, fratello di Jovanotti, lo convince ad abbandonare la professione di eterno vacanziere e a trasferirsi in quel che restava della Milano da bere, promettendo un lavoro nella trasmissione del fratello a Radio Deejay. Fiorello comincia a sfruttare il suo talento vocale nella radio che stava diventando velocemente un punto di riferimento per i giovani, il loro mezzo di espressione privilegiato.
«Ho iniziato con le radio libere negli anni 70, Radio Marte Augusta, il nostro modello era Foxy John (ora è la voce di “Ballando con le stelle, imitazione di Foxy John). Poi Claudio Cecchetto a Milano mi affianca Toni Severo, Amadeus e infine Marco Baldini (“ho preso un toscano che secondo me con te è perfetto”). Il nostro modello era Alto Gradimento di Arbore. La radio è il mezzo che più mi stimola la fantasia, l’immaginazione è tutto, sia per chi la fa che per chi l’ascolta. Per questo non mi piace la radio in tv. Se dovessi dire però dove io rendo al cento per cento è il teatro, quando sono sul palco, non ho l’ossessione degli ascolti mattutini, senti la risata, senti la battuta che è andata a segno. E poi il teatro è la vera fucina per la tv. La quale è molto cambiata, sono cambiati i suoi ritmi: oggi devi accorciare i tempi di una gag altrimenti i giovani non ti seguono più. Il varietà non morto, ma bisogna trovare una nuova chiave di trasformazione. In passato, io, Panariello, Morandi ci abbiamo provato con l’one man show, adesso bisogna trovare un’altra chiave e spero di trovarla io per primo. Adesso va di moda lo spettacolo teatrale ripreso dalle telecamere, ma non mi convince. Va bene per il repertorio delle piattaforme ma per la prima serata dovresti smontare quello spettacolo e renderlo televisivo.
A volte sono tentato di dire “ora smetto” però lo dico ormai da troppo tempo. Non sento più quella voglia di “esserci”, però se arriva l’idea mi sveglio... Quando Fabrizio Salini, l’ex dg della Rai, mi propose di lanciare Rai Play, ecco quella è stata un’idea, mi piaceva quell’idea. Adesso mi piacerebbe provarmi in un morning show (dalle 7 del mattino in poi, per me le 7 sono già mezzogiorno), ci stiamo annusando per vedere se su Raiuno si possa fare una cosa così in un orario deputato ad altre cose, il mattino ha l’oro in bocca, visto che ormai l’età ci costringe ad alzarci presto. È un’idea prostatica ma in Italia nessuno l’ha mai tentata».
Ancora la famiglia: più volte Fiorello ha confessato che dopo una vita movimentata da cameriere, dj, cantante e animatore, con Susanna ha conosciuto il cambiamento vero perché lei è la donna che ha portato in casa la stabilità (stanno insieme da 26 anni, contro le previsioni dei loro più cari amici).
«Dopo il grandissimo successo del Karaoke, a Milano, non sono riuscito a sostenere il peso di una celebrità esagerata e improvvisa. Ero l’uomo più famoso d’Italia e non ho saputo gestire il peso di quel successo, facilissimo passare dall’altare alla polvere. Quando arrivai quinto al Festival di Sanremo del 1995, dove tutti mi davano per vincitore iniziò la discesa. Tra parentesi, devo dire che vinse Giorgia con la stupenda “E poi”. La festa era finita, dicevano che restavo un animatore da villaggi, feci anche un brutto programma tv “Non dimenticare lo spazzolino da denti”, arrivò puntale la depressione e.. il resto è storia. Susanna ha rimesso il treno sui binari. Ero andato a Roma perché Maurizio Costanzo (imitazione di Costanzo) mi aveva chiamato a “Buona domenica”. Una sera eravamo io, Giovanni Malagò e Max Biaggi, e Malagò ci propose di andare a casa di suoi amici per giocare a “Mercante in fiera”, era il periodo natalizio. Una delle amiche di Malagò era Susanna. Il presidente del Coni è stato Cupido, la freccia dell’amore».
Dopo la radio, dopo, la televisione, dopo il teatro, arriva la Rete, arrivano i social media...
«Quando sono apparsi i social ho avuto una sorta di ubriacatura. Facebook non mi piaceva, insieme a Jovanotti e Nicola Savino ci buttammo su Twitter, da mattina a sera. “Il più grande spettacolo dopo il weekend” del 2011 era preceduto dal simbolo del cancelletto, l’hashtag, e Ballandi mi fa “ma perché quel segnetto prima del titolo?”. “Bibi, lascia perdere, è una cosa molto avanti, si usa fra i giovani”. Fra la sua perplessità, riuscii a invitare a Cinecittà più di 400 followers. Da Tweeter arrivò l’Edicola, poi ho usato molto i social durante il lockdown con Jovanotti anche per tenere compagnia alla gente, infine ho sentito il bisogno di staccare, di avere un contatto fisico con la gente e soprattutto di non dover dire la mia su tutto. È come aver smesso di fumare, era diventata una roba compulsiva. Anche perché, nel frattempo, ho provato cosa sia l’odio sui social. A Sanremo ho fatto una battuta sui no vax, ma solo su quelli che credono che con il vaccino ci iniettassero anche un microchip e i potei forti. Di fronte a tanta violenza, a tanta ostilità ho chiuso».
Una domanda. Se potesse dire una sola parola oggi, quale sarebbe?
«Sorriso. Devo spiegare?»
No. Grazie.