Corriere della Sera, 10 settembre 2022
Carlo è il primo re laureato
«Quando ho iniziato a occuparmi di sostenibilità dicevano che ero matto». Così Carlo III ha ricordato le sue prime battaglie sostenibili. Nel 2020 a Davos ha incontrato l’attivista Greta Thunberg: lui più che settantenne, lei appena sedicenne. Quando Carlo iniziò la sua battaglia per salvare il pianeta, lei non era neppure nata. Adesso che Carlo è re e ha parlato per la prima volta al Paese – gli occhi lucidi e la voce rotta quando ha affidato la madre all’abbraccio degli angeli – ammette che in futuro non riuscirà più a dedicare tanto tempo a molte delle sue charity, delle sue battaglie.
Ma la sostenibilità per il nuovo re è la visione proiettata verso il futuro: quello sguardo lungo che ogni buon leader deve avere. Ed è al tempo stesso amore della natura, dei fiori, degli orti, degli allevamenti sostenibili. Passioni condivise con Camilla, la compagna ora regina consorte, che gli ha regalato serenità, fiducia. Dopo l’amore iniziato come una favola controversa e finito in tragedia, con Diana, giusto 25 anni fa. Non a caso è Highgrove, il suo buen retiro, il suo luogo dell’anima. Parlando della tenuta dove coltiva in modo biologico e alleva anche gli animali dai quali ricava il prosciutto di cui è ghiotto e il suo amato culatello, il nuovo re che il Corriere incontrò durante un paio delle sue visite italiane, disse essere quello il suo orgoglio, la sua soddisfazione. Pur ammettendo che il suo angolo del cuore, nel Regno Unito, è la Scozia, come per la madre Elisabetta. E proprio a Highgrove ha lanciato nel 1990 la sua linea di prodotti organici, Duchy Originals. Antesignana delle linee di alimentazione bio. Estimatore anche di un buon vino, in «servizio», nei royal engagements, si concede solo acqua con una fetta di limone, Camilla accetta invece un calice. Inevitabile così che per Carlo III, l’Italia sia un’altra grande passione. Le nostre colline catturate dai suoi acquarelli. «Anche Sua Altezza dipinge, paesaggi ad acquarello, vero?», domandammo incontrandolo fra gli stucchi del teatro La Fenice a Venezia. «Oh, veramente sono soltanto un amateur, un dilettante» si schermì lui, e forse era un understatement, dato che pare abbia anche esposto alla Summer Exhibition della Royal Academy of Arts di Londra, sotto pseudonimo. Nei circoli dell’aristocrazia si dice che il nuovo re firmi le sue opere Arthur George Carrick, nom de plume ispirato da uno dei suoi mille titoli e da uno dei tanti nomi con il quale è stato battezzato con l’acqua del fiume Giordano nella Music Room a Buckingham Palace. Primo bebè reale a frequentare la scuola (e non i precettori). Anche l’odiata Gordonstoun scelta da papà Filippo. E primo sovrano laureato.
Un re che ama l’arte. «Quante volte, bambino, mi sono fermato davanti ai quadri del Canaletto appesi nelle stanze di Windsor...», disse in visita a Venezia anni fa. E odia le opere delle archistar: famoso il suo discorso in cui ne parlò come di un monstrous carbuncle, di grande foruncolo sul viso dell’amata Londra. Ama invece i borghi antichi e si vanta di indossare ancora oggi i completi di quand’era ragazzo, cura le scarpe con maniacale attenzione. Il suo abbigliamento è insomma sostenibile per definizione ed è una delle personalità più eleganti al mondo. «Indossa molto bene la dinner jacket a doppiopetto. Apparentemente tradizionale in fatto di stile, in realtà è un amante delle sperimentazioni: certi tweed che osa il nuovo re sono davvero audaci. Come Edoardo VII, che pure lui attese a lungo il trono, anche Carlo è un vero dandy», spiega al Corriere Simon Cundey di Henry Poole, in Savile Row dove è nato lo smoking. Ma poiché l’eleganza per Carlo fa il paio con la sostenibilità, a titolo dimostrativo, ha persino sepolto un suo maglione di pura lana merino nel giardino di Clarence House: per dimostrarne la biodegradabilità. Dopo aver provato a incendiarlo: per illustrare le qualità ignifughe della lana. Così per sensibilizzare il mondo, la Campaign for Wool sostenuta da Carlo ha portato le pecore in Savile Row a Londra e a Milano.
Coraggioso, come un moderno Don Chisciotte impegnato in mille battaglie: «Sono un pacificatore», disse a Davos prima della pandemia. E con mille curiosità personali. Nel 1975 entrò nel Magic Circle britannico di cui già lo zio Mountbatten fu socio per vent’anni. Un «High Green» come è stato chiamato per la vocazione sostenibile che si è tradotta nell’«enciclica laica» Terra Carta, ora re. «Un romantico», come disse di lui il padre Filippo, a marcare la distanza che li separava. Capace di mettere l’anima nelle sue battaglie.