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 2022  settembre 09 Venerdì calendario

I commenti alla morte della Regina Elisabetta

Antonello Guerrera intervista Richard Winston, il segretario della regina, per la Repubblica
Richard Winston “Dickie” Arbiter, 82 anni, è stato il segretario e portavoce di Elisabetta II per oltre un decennio dal 1988. Pochissimi al mondo, al di fuori della famiglia, hanno conosciuto e visto da vicino, praticamente ogni giorno, la regina, scomparsa ieri a 96 anni.
Signor Arbiter, partiamo dall’inizio: il suo primo incontro con la regina.
«Era il luglio del 1988, avevo appena iniziato e fui invitato a Balmoral. Mi venne detto: “Preparati che tra mezz’ora andiamo a fare un picnic con la regina”. Wow. Aspettai. A un certo punto Elisabetta II spunta dal nulla. E mi fa: “Dai, saliamo in macchina!”».
E poi?
«Salgo sul Range Rover. Guida lei. Amava guidare. Arriviamo al cottage di Balmoral, mangiamo qualcosa al volo, tra posate di plastica e contenitori Tupperware. Io ero paralizzato e non ricordo le poche frasi che mi permisi di dire. A un certo punto, sparecchio e mi appresto a lavare i piatti. Ma una voce mi fa: “No, aspetta!”».
Chi era?
«La regina Elisabetta! Che mi disse: “Io lavo i piatti, tu li asciughi”. E così facemmo. Che meraviglia».
Le voleva bene la regina?
«Le piacevo come persona. Ma non sopportava le mie cravatte sgargianti. Una sera a una reception, davanti a tutti, mi rimproverò: “Dickie, ancora queste orribili cravatte?”».
Aveva un gran senso dello humour, Elisabetta, vero?
«Sì, ma soprattutto sapeva rompere il ghiaccio come nessuno. Anche perché non ci si permetteva mai di parlare direttamente alla Queen. Lei parlava, tu rispondevi soltanto.
Ma se la guardavi negli occhi, sì, riconoscevi il suo humour inconfondibile. E soprattutto, trattava tutti allo stesso modo».
Lei ha vissuto l’annus horribilis di Elisabetta, ossia il 1992, quando ci fu il divorzio della figlia Anna, la pubblicazione della biografia di Diana, un rogo al Castello di Windsor e il terzogenito Andrea si separò da Sarah Ferguson. Fu un’idea della regina chiamarlo così o sua?
«In realtà prese ispirazione da una lettera empatica di uno dei suoi “amici di corrispondenza”, Sir Edward Ford, ex vicesegretario privato suo ma anche del papà Giorgio VI.
Quello sì, fu l’anno più difficile per lei, più degli ultimi con gli scandali di Andrea e la fuga di Harry e Meghan. E un’altra cosapiù complicata fu gestire William e Harry dopo la morte di Diana. Ma ce la facemmo».
Dopo la morte di Diana, la regina fu accusata da molte teorie del complotto. Come visse quei momenti?
«A Buckingham Palace si viveva una certa esasperazione. Anche perché la regina non sopportava che si lavassero i panni sporchiin pubblico. Ma “keep calm and carry on”. La regina è andata avanti, credendo nei suoi principi e nel senso del dovere, fino agli ultimi giorni della sua vita. Dopo la morte di Diana la accusarono di non essere triste, ma si è comportata allo stesso modo quando spirarono sua sorella, sua madre o persino Filippo. I reali, i Windsor, nondevono mostrare emozioni o sentimenti, perché non vogliono essere interpretati. Per loro è come una ferita in un’armatura».
Ma per Filippo una lacrima in pubblico l’ha versata.
«Perché lui è stato davvero l’unico uomo della sua vita.
Nessun altro per lei è esistito in 73 anni. E lo stesso per Filippo, nonostante fosse un piacione».
Lei ha lavorato anche per il primogenito di Elisabetta, da ieri re Carlo III. Qual era il rapporto tra madre e figlio? Si è sempre detto che Carlo sia stato un ragazzo problematico, quasi morboso con la regina.
«Ci sono stati momenti tesi, soprattutto durante la separazione da Diana. Ma Carlo ha sempre avuto un ottimo rapporto con entrambi i genitori. Il problema è che Elisabetta II è diventata regina troppo presto e ha avuto meno tempo per i suoi figli.
Quindi Carlo ha sviluppato questa fobia di essere trascurato. Ma poi ha capito con il tempo. E soprattutto, lui ha avuto la possibilità di crescere William e Harry e questo lo ha fatto maturare molto».
Mentre la regina ha perso da giovanissima il suo amato padreGiorgio VI.
«È vero. Ma ciò l’ha fatta responsabilizzare in maniera straordinaria e resa il personaggio leggendario che è».
Qual è la cosa che l’ha più sorpresa di Elisabetta durante i tanti anni passati con lei?
«La sua stabilità. Il suo equilibrio. Il suo pragmatismo. Qualcuno ha detto in passato “la regina è cambiata”. No. Elisabetta II non cambiava mai. Al massimo si adattava».
E cosa faceva la regina ogni giorno?
«Si svegliava, leggeva tutti i giornali, guardava la tv, si preparava per gli eventi. Amava portare a passeggio i cani corgie.
E religiosamente si occupava delle “red boxes” con i segreti di Stato».
La regina scriveva anche un diario?
«Sì. Ma credo non lo vedrete mai».
Jacopo Fontaneto intervista Enrico Derflingher, il primo cuoco italiano di Buckingham Palace
Enrico Derflingher è stato il primo italiano a reggere, dal 1987 al 1990, le cucine di Buckingham Palace e Kensington Palace, la residenza dove abitava Carlo. Lo chef è addolorato per la morte della regina. E si dice sicuro che nel passaggio della corona «da Elisabetta a suo figlio, la scossa sarà forte anche nello stile delle cucine reali: un approccio più green e innovativo rispetto alla spinta più tradizionalista e ai riti consolidati della sovrana scomparsa» che solo di recente aveva rinunciato al tradizionale bicchiere di champagne prima di coricarsi.
«Dal punto di vista alimentare, il vero rivoluzionario è Carlo – racconta Derflingher – Già 30 anni fa iniziò a introdurre nelle mense reali i prodotti degli orti delle tenute dei Windsor. La madre lo appoggiava molto più del principe Filippo che, schivo e pratico, non si faceva problemi a mettersi personalmente al barbecue».
Il royal chef smonta, almeno in parte, il falso mito secondo cui la sovrana non avesse mai assaggiato una pizza: «Ai banchetti reali, le pizzette di sfoglia le preparavo, eccome, e sono certo che le piacessero. Anche se preferiva una cucina più inglese: salmone, agnello, roast beef e Yorkshire pudding. Tutto a chilometro zero. Mangiava in modo parco, concedendosi al limite qualcosa in più sul bere: ad esempio, un gin tonic come aperitivo».
Derflingher non riesce a trattenere l’emozione: «Alla Regina Elisabetta devo moltissimo, a partire da una cena che mi cambiò la vita». Era il dicembre 1989, a Buckingham Palace, con diversi capi di Stato europei: «Mi inventai un risotto con gamberi, bisque e tartufo. Volevo dare un tocco italiano al menu. A metà cena fui chiamato in sala dalla regina, che ruppe così un rigido protocollo. Tremai, temendo il peggio. E invece mi disse che aveva assaggiato il risotto più buono di sempre, chiedendomi anzi – come in una trama cinematografica – cosa desiderassi in premio. Spiazzato, le chiesi la pentola con cui l’avevo preparato, un tegame di rame di fine Ottocento che ancora conservo a casa».

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Il ricordo di Tony Blair (Corriere)
Oggi abbiamo perso non solo la nostra regina, bensì la matriarca della nazione, la figura che più di ogni altra ha saputo rinsaldare il nostro Paese, ispirare i nostri sentimenti migliori, incarnare tutti quei valori che ci rendono orgogliosi di essere britannici.
La regina Elisabetta II è stata parte della mia vita, per tutta la mia vita. Dal momento in cui agitavo la mia bandierina, ancora bambino, quando la vedevo passare nella sua vettura lungo le strade di Durham, fino all’onore di essere il suo primo ministro, al mio ultimo incontro con lei, e al pranzo al Castello di Windsor, pochi mesi or sono, per la cerimonia della Giarrettiera, la regina è stata una presenza forte e costante, un vero baluardo di stabilità. In occasione di quel pranzo, mi sono ritrovato seduto accanto a lei e ne ho apprezzato la meravigliosa vivacità, il suo calore, la sua cortesia e il suo spiccato senso dell’umorismo.
Elisabetta II non era semplicemente rispettata, bensì profondamente amata. Rispettata per le sue virtù, dignità, senso del dovere, integrità e fedeltà, di cui era l’incarnazione. E amata per l’amore e l’affetto che dimostrava a noi tutti. E ben oltre le nostre sponde, per tanti popoli in tante terre in ogni continente, in metropoli, città e persino nei villaggi più remoti, la regina Elisabetta era conosciuta e circondata dalla massima considerazione. Quando ci si riferiva alla regina, questo bastava, non serviva aggiungere il nome Elisabetta. Non era necessario. Non è mai stata una regina, bensì «la» regina, fedele ai suoi princìpi, al suo Paese, al Commonwealth e a Dio.
Noi tutti la piangeremo e sentiremo la sua mancanza. Ma il nostro sentimento preponderante verso di lei sarà un senso di gratitudine, un ringraziamento profondo, sincero e commosso per tutto quello che ha fatto, quello che ha rappresentato, per la vita che ha vissuto e per quello che ha dato, a noi, suoi sudditi riconoscenti. Il suo è stato un regno davvero glorioso, ed è stato un sommo onore e uno straordinario privilegio per noi vivere nel suo regno.

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Enrica Roddolo intervista Daniel Franklin per il Corriere della Sera
«È il momento, nel lungo regno di Elisabetta, per il quale la nazione era al tempo stesso più preparata e meno pronta – dice al Corriere il direttore esecutivo dell’ Economist Daniel Franklin —. Il più preparato perché da molti anni erano stati messi in atto dettagliati piani per questo passaggio. Il meno preparato perché per così tanti britannici è difficile immaginare un monarca oltre a lei, nonostante l’apprendistato durato decadi del principe Carlo per avvicinarsi al suo ruolo. Il senso della storia è palpabile».
Quale eredità lascia Elisabetta II?
«È una domanda complessa ma, per sintetizzare, ci sono almeno tre elementi fondamentali – prosegue Franklin —. Il primo è la straordinaria lunghezza del suo regno, il più lungo di sempre per il Paese: questo Platinum Jubilee è una prima assoluta e da solo il traguardo rivela l’eccezionale capacità della Regina nell’aver saputo assicurare stabilità in un tempo di cambiamento epocale: dalla perdita dell’Impero all’intrusione dei nuovi mezzi di comunicazione. In secondo luogo, la storia terrà conto del fatto che Elisabetta – pur non sempre senza difficoltà e con l’aiuto di altri, principalmente il marito Filippo – ha saputo modernizzare la monarchia in molti modi, dal permettere alle telecamere della televisione di entrare a palazzo, al pagamento delle tasse, fino all’apertura di Buckingham Palace al pubblico. Terza legacy, l’essere stata il simbolo del principio evidenziato dalla serie The Crown: la capacità di mettere il dovere, legato al suo ruolo, davanti a qualsiasi altra cosa. È questo il filo che attraversa il suo tempo fino a questo Platinum Jubilee, la costante anche nei tanti drammi che hanno interessato la sua famiglia. E proprio il Giubileo ha offerto l’opportunità di presentare al mondo il futuro, Carlo re: una quantità di celebrazioni ricche di occasioni per presentare con la giusta coreografia il ruolo del figlio ed erede al trono».
Una regina che ha unito il Paese.
«La monarchia con Elisabetta è stata uno straordinario elemento di unificazione, grazie a una sovrana capace di suscitare ampie simpatie e rispetto».
E come sarà, adesso, il regno di Carlo III, un erede al trono che ha attraversato un’estate «burrascosa» per le rivelazioni sulle sue charity, ma che da una vita lavora con passione per prepararsi alla successione?
«La successione di Carlo sarà morbida. Adesso ci attende un periodo di lutto profondo per il Paese. Re Carlo III inizierà comunque con simpatia e benevolenza. La continuità sarà la sua strategia. Solo lentamente vedremo quindi un più chiaro senso di come potrà cambiare la nuova era di re Carlo». La nuova era dopo la grande stagione di Elisabetta II.