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 2022  settembre 09 Venerdì calendario

Altri pezzi sulla regina Elisabetta

Pioniera di internet ma con un gusto vintageRiccardo Luna per la StampaIl 26 marzo 1976, qualche giorno prima che un giovanissimo Steve Jobs fondasse la Apple, la regina Elisabetta aveva già mandato la sua prima email. Accadde nel corso di una visita ad una base militare, a Malvern. Non fu un caso. Lì lavorava Peter Kirstein, l’ingegnere che tre anni prima aveva collegato il Regno Unito alla rete Arpanet, nata nel 1969 negli Stati Uniti. Sì, Internet non esisteva ancora e quelli che usavano questo strumento di comunicazione erano poche decine di pionieri nel mondo.
Il 26 marzo 1976 la regina entrò in quel club. In realtà aveva fatto tutto Kirstein: la configurazione del profilo reale da cui spedire l’email, HME2; e anche il testo del primo storico messaggio, che faceva riferimento ad un nuovo linguaggio di programmazione che era stato sviluppato proprio a Malvern. «Questo messaggio, per tutti gli utenti di Arpanet, è per annunciare la disponibilità di Coral 66…». Niente di davvero emozionante ma sufficiente ad entrare nella storia: la prima email reale.
Molti anni dopo, quando l’invenzione di un cittadino britannico, il world wide web di Tim Berners-Lee, aveva ormai trasformato Internet in una rete per tutti, la regina mandò un altro messaggio a suo modo storico: il suo primo tweet: «È un piacere inaugurare la mostra sull’Età dell’Informazione al Museo della Scienza e spero che le persone si godranno una visita qui. Elizabeth R.». Rispetto alla email preistorica del 1976 quel gesto fu in realtà meno eclatante: allora, era l’ottobre 2014, Twitter era già usatissimo e la regina aveva nel frattempo già varato il sito web di famiglia; ed il canale YouTube ufficiale, con un prezioso video di un Natale del 1957.
I cronisti di Buckingham Palace poi hanno dedicato molto tempo ad investigare la storia di un misterioso iPod che la regina avrebbe acquistato già nel 2005. La cosa emerse nel 2009, nel corso di una visita ufficiale di Barack e Michelle Obama che avevano pensato di regalare alla regina proprio un iPod scoprendo però solo al momento della consegna che Elisabetta ne aveva già uno.
Tutti questi aneddoti hanno fatto guadagnare alla regina la fama di tech-savvy, esperta e appassionata di tecnologia; ribadita durante il Covid perché teneva le sue riunioni su Zoom. Sarebbe però un errore raccontarla come una “smanettona": ci sono fotografie recenti che la mostrano mentre parla con il primo ministro Boris Johnson usando un apparecchio telefonico vecchissimo. Epperò la regina aveva capito il valore della tecnologia. E l’importanza di usarla per dire al suo popolo che non era una cosa inutile o astrusa. Era importante. E lei ne era la migliore testimonial.

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Harry, William e Andrea i guai della “ditta” Windsordi 
Maria Corbi per La Stampa
Il dolore e il vento della fine sospendono le più fiere, come anche le più meschine, contese, soprattutto quando in ballo non c’è solo un affetto e un’eredità personale ma il destino della monarchia. Tutti a Balmoral, in Scozia, quindi i parenti reali d’Inghilterra a vegliare e pregare, piangere per la regina, madre, nonna zia. L’erede al trono Carlo con la moglie Camilla, la principessa Anna, l’ultimogenito Edoardo con la moglie Sophie di Wessex e il figliol poco prodigo Andrea, duca di York. E poi William con Kate. Meghan e Harry anche loro accorrono dagli Stati Uniti per arrivare in tempo e farsi perdonare, o solo perdonarsi. Chissà. Quanti screzi, rotture, delusioni, dolore, antiche ruggini in questo quadretto di famiglia, in onore a lei, la regina, la madre di tutta l’Inghilterra e per questo forse un poco meno madre dei suoi figli, come ricordano impietosamente le biografie dei Windsor.
La verità è che quando c’era in ballo la sopravvivenza della monarchia Elisabetta II non ha mai guardato in faccia nessuno. Lo sa bene Andrea, forse il figlio più amato, anche se guascone, molto poco nobile nei suoi comportamenti, rimosso da ogni impegno pubblico perché «le sue azioni mettono gravemente a repentaglio i Windsor» (coinvolto nello scandalo del miliardario pedofilo Jeffrey Epstein ha patteggiato un risarcimento di circa 14 milioni di euro con Virgina Roberts, che lo ha accusato di averla violentata da minorenne). Motivo per cui né Carlo, né William hanno piacere di incontrarlo e di farsi «inquinare» dalla sua fama. William lo scorso giugno, prima della cerimonia dell’Ordine della Giarrettiera, aveva minacciato: «Se ci sarà il duca di York, io e Kate non veniamo». Così il principe Andrea è stato lasciato dietro le quinte, per ordine di sua madre, la regina.
L’intransigenza con cui la Regina ha sempre dato precedenza alla Corona e non agli affetti la conoscono bene Harry e Meghan, privati degli incarichi reali e del cospicuo appannaggio per la loro scelta di ritirarsi negli Stati Uniti e rompere, nei fatti, con la famiglia concedendo interviste polemiche e poco regali. Il principio è sempre lo stesso: «la ditta» va protetta. Chi non lo capisce è fuori. Eppure Meghan era stata accolta con le migliori intenzioni, anche perché portava nella casa reale una ventata di modernità e di principi «inclusivi». All’altare arrivò con Carlo e non con suo padre, il segno delle aspettative che la casa reale aveva su di lei. Invece è stata l’ultima scena armoniosa della famiglia felice prima dell’ennesimo disastro. Perché da quando Diana ha aperto gli argini alla stampa, mettendo in piazza tutti i fatti suoi e dei reali parenti, l’etichetta, la buona educazione e anche l’ipocrisia non sono più stati capaci di arginare l’onda della normalizzazione. E quando una istituzione arcaica che affonda le sue radici nel privilegio e nel sacro viene normalizzata la sua fine è solo questione di tempo. Kate lo ha capito, rimanendo sempre una figura glamour ma sfocata. Meghan no, perché alla ribalta personale non rinuncia.
Insomma una giungla familiare che solo Elisabetta sembrava saper attraversare. Passato il momento del cordoglio, ci si chiede cosa capiterà e quali nuovi equilibri si costituiranno. Tremano le fondamenta del Palazzo e chissà se Carlo sarà all’altezza del compito con accanto la sua Camilla, la donna per cui ha sfidato sua madre, piegandone la resistenza. Una sconfitta di Elisabetta II ma sempre in nome della monarchia. Dopo Edoardo VIII non era pensabile un’altra abdicazione, anche se solo di un principe ereditario e alla fine anche Camilla è diventata parte della «ditta», prossima regina consorte. Ha iniziato da qualche tempo a vestire gli abiti pastello della suocera, ma non basteranno certo solo quelli a convincere gli inglesi. Forse ci riuscirà meglio Carlo che dopo anni di prese in giro per la sua passione «verde» oggi è diventato un faro della sostenibilità. Un re green si prepara a salire sul trono, non prima di aver fatto un giro per il paese a conoscere e rassicurare i suoi sudditi, come da prassi della successione.
E questa estate Carlo ha passato molto tempo a Balmoral, in una intimità con la madre come non c’era mai stata. Conversazioni con al centro il passato, certo, la famiglia, ma soprattutto il regno. Un testamento morale per colui che dovrà succederle. Consigli di una madre per il suo erede che dovrà cucire ferite e strappi non solo di una nazione ma anche di una famiglia. Ci sono William e Harry da riavvicinare. Non un’impresa facile perché ormai la distanza è tanta e nemmeno la morte dell’amato nonno Filippo è riuscita a farli ragionare. Non è facile essere il fratello numero due, non lo è stato per Margareth la sorella di Elisabetta (il personale di Buckingham Palace la chiamava P2, princess 2) e non lo è per Harry. Soprattutto non lo è e non lo sarà per Meghan che non ha nessuna intenzione di fare da tappezzeria alla cognata Kate Middleton, da questo momento ancora più vicina al trono di Inghilterra. Anche se Regina nel cuore degli inglesi ce ne sarà sempre e solo una: Elisabetta II. Un addio che lascia orfana una nazione. 

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Quegli incontri da Einaudi a Berlusconi
Filippo Ceccarelli per la Repubblica
Fra le molte e svariate virtù ascrivibili a Elisabetta II d’Inghilterra c’era anche quella di nobilitare i politici italiani con cui per oltre 60 anni è entrata in contatto.
Messa così forse è un po’ brusca, ma è difficile che al suo fianco sfigurassero governanti che in molte occasioni risultavano vanitosi, grossolani, ciarlieri, cinici e invadenti, categorie umane di cui la Repubblica non ha mai difettato. Difficile dire, specie se convintamente repubblicani, da cosa dipendesse, forse un moto o magari una stasi dell’animo, comunque un’economia di gesti e parole, emozioni e sentimenti. Fatto sta che al suo fianco era come se quei conclamati difetti si attenuassero e per incanto ciascun presidente o ministro recuperasse l’elevatezza del suo ruolo e, cosa rarissima in Italia, anche il suo decoro.
Nel tempo è accaduto con Gronchi, Leone, Rumor, Andreotti, Cossiga, Scalfaro, Ciampi e giù a scendere, quindi pure con Fini e signora Daniela, giunti a Buckingham Palace su una meravigliosa carrozza e scortati da guardie reali a cavallo. Idem con un certonumero di pontefici con i quali però il rapporto appariva, se non paritario, comunque improntato ad antica dignità e, trattandosi in entrambi i casi di capi religiosi, reciproca “colleganza”.
Cinque volte Sua Maestà è venuta in Italia (la prima, non ancora regina, soggiornò al Quirinale di Einaudi); e sempre tutto qui è filato liscio. Meno nel Regno Unito dove, come si legge nei diari di Antonio Maccanico, una volta Pertini provò a fare un po’ lo spiritoso ed Elisabetta non gradì.
Nulla comunque rispetto all’indimenticabile scena che nell’aprile del 2009 vide protagonista Berlusconi durante la foto di gruppo al termine di un summit con altri governanti, fra cui il nuovo presidente americano.
Così, mentre ognuno in silenzio andava dislocandosi secondo un certo ordine, il presidente italiano pensò bene di farsi notare invocando a gran voce: «Mister Obaaaaamaaa!». Seguì quello che mai come in questo caso si oserebbe qualificare un attimo metafisico; dopo di che, da un punto indistinto del grande salone fu possibile ascoltare, come in lontananza, la voce di un’anziana signora che senza rivolgersi ad alcuno in particolare risuonò: «Ma perché deve urlare in questo modo?». A riprova che il segreto del contegno sta nella propria, meglio se silenziosa immutabilità.