Corriere della Sera, 9 settembre 2022
Le tristezze di Marilyn nel film "Blonde"
VENEZIA Una donna che nasce Norma e diventa Marilyn. Ma cosa vuol dire essere Marilyn Monroe, non diventare Marilyn? Blonde è un viaggio crudo, lungo 2 ore e 40, nella mente di una diva senza tempo. Un’anima esposta, nata bruna e divenuta famosa bionda. Visioni, incubi, in una California dove non si sa cosa è reale e cosa è dentro di lei. Non è il seno nudo a imporre il divieto in USA sotto i 17 anni che, per il regista Andrew Dominiq «non meritava, ora crea false aspettative» (in Italia è disponibile senza censura dal 28 su Netflix).
Non era un fan dell’attrice, «avevo un’idea superficiale di lei. Ora vado alla sua tomba. Sapevate che Hugh Hefner, il fondatore di Playboy, ha pagato 75 mila dollari per essere sepolto accanto?».
È partito dal fluviale libro di Joyce Carol Oates, «è una storia dalla parte di una donna ma non è femminista.Non è un biopic ma un lavoro di fiction». Marilyn «è stata una brillante invenzione di Norma Jeane Baker», com’era all’anagrafe, «le ha salvato la vita inizialmente, poi l’ha sopraffatta. Volevo mostrare come i traumi infantili possono condizionare la vita adulta».
I nostalgici hanno il dito sulla tastiera dei social: «L’hanno distrutta. E come si può prendere una cubana?». Ana de Armas, 34 anni: «Non l’ho fatto per cambiare le idee su di me. Sarà quel che sarà. Sento la tristezza di Marilyn e forse non voglio liberarmene, è come se fosse successo a me, non voglio protezione. Il film è su Norma, ma Marilyn è presente, è la stessa persona, credo che l’una avesse bisogno dell’altra. L’ho sognata, era con me».
Al provino «mi sono presentata con una orrenda parrucca bionda, e senza badare all’accento». È un film cupo che prende allo stomaco. «L’abbiamo cominciato il 4 agosto del 2019, giorno della morte di Marilyn, non è stato pianificato. Abbiamo girato nella vera casa in cui ha vissuto con sua madre, e nella stanza in cui è morta. A fine riprese ero solo, mi sono sdraiato sul letto e ho avvertito un senso di profonda disperazione. A Los Angeles ci sono tracce di lei ovunque».
L’accento
«Le critiche per il mio accento cubano? Non ci pensavo quando
ho fatto il provino»
Marilyn presa a cinghiate dal suo secondo marito, l’eroe del baseball Joe DiMaggio; Marilyn che masturba e poi fa sesso orale all’amato leader del mondo libero, il presidente Usa Kennedy che accompagna quell’incarnato luminoso sul suo ventre e le vomita: «Sei una brutta sporcacciona». Marilyn e la gravidanza interrotta («il bambino lo vuole e non lo vuole, la maternità la riporta all’abbandono, alla madre distrutta dalla sua nascita»). Marilyn a inizi carriera violentata da un produttore corpulento con l’accappatoio che ricorda Weinstein.
Ma nel suo kit di sopravvivenza non c’è la rabbia. È come se si fosse messa al mondo da sola. Sullo schermo era libera di reinventarsi. «Marilyn era la persona più famosa al mondo, ma Norma, proprio per questo, divenne la persona più invisibile del mondo. E questa è la storia che abbiamo voluto raccontare».
Ana ha visto «tutto quello che c’era da vedere»; riecco la vocina un po’ stridula di Marilyn a cui, ai provini chiedevano: cosa pensi? «Non penso, forse sto ricordando». Occhi spaventati, occhi languidi, occhi splendidi e distanti. «Se la guardi con attenzione – dice Ana – capisci che Norma Jeane è lì, le scivola addosso».
Solo poche sequenze della stella sotto i riflettori. La gonna sollevata sulla grata dal vento, e sembra la conchiglia della Venere di Botticelli, simbolo dell’amore, l’amore che Marilyn non ha mai conosciuto. Il cuore è Norma. Da piccola dormiva in una cassettiera col suo peluche, bambina non voluta che una madre tenta di annegare. Verrà rinchiusa in un ospedale psichiatrico, per la figlia si aprono le porte dell’orfanotrofio: «Ma io non sono orfana, ho un padre e una madre», grida. Il padre è in una foto appesa alla parete. Dominik, perché abbiamo ancora bisogno di lei? «È morta giovane, era famosa, bella e questo l’ha portata al suicidio». Miss Sogni d’oro ci ha lasciati sdraiata sul suo lettone bianco per una overdose di barbiturici.