La Stampa, 9 settembre 2022
L’eterna grande riforma
A sorpresa, nella campagna elettorale tritatutto, è entrata – meglio sarebbe dire tornata – la Commissione Bicamerale per le riforme istituzionali. Meloni l’ha proposta per evitare che Letta continuasse a parlare del presidenzialismo come di un colpo di mano autoritario. Salvini non ne è certo entusiasta. Berlusconi se ne disinteressa. Tanto, si sa: quando la Grande Riforma varca la porta della Bicamerale, non ne verrà mai fuori, o ne uscirà pronta per essere sepolta.
Si può dire che ogni stagione politica ha avuto la sua Bicamerale. Quella presieduta dal vecchio liberale Bozzi (1983-‘85) in piena Prima Repubblica, non aveva alcun potere, ma siccome Craxi, anche allora con il presidenzialismo, cominciava a fare sul serio, il segretario del Pci Berlinguer la affossò. La seconda (1993-‘94), presieduta dall’ex-leader Dc De Mita e poi dall’ex-presidente della Camera Iotti, capitò in pieno terremoto di Tangentopoli e di passaggio alla Seconda Repubblica: riuscì anche a produrre un documento informato al modello tedesco del Cancellierato, che finì in un cassetto e lì rimase, perché le Camere, dopo una delle legislature più brevi della storia repubblicana, nel frattempo vennero sciolte e con le nuove elezioni cominciava la Seconda Repubblica. La terza, universalmente ricordata come la Bicamerale D’Alema-Berlusconi, restò famosa per il “patto della crostata”, stipulato a casa di Gianni Letta nella notte del 18 giugno 1997 tra l’allora segretario del Pds (e presidente della Commissione) e il Cavaliere, leader dell’opposizione di centrodestra. Ma l’accordo non resse, Berlusconi se lo rimangiò.
Tanto lavoro inutile, faldoni e faldoni di verbali e di documenti, per arrivare a niente. Perché? Bisognerebbe chiederlo a Renzi, autore di un audace quanto discutibile quarto tentativo di riforma tra il 2014 e il 2016. Che non passò da una Bicamerale ma dal Parlamento, e venne approvato grazie a inconfessabili compromessi e al “patto del Nazareno” con Berlusconi, sempre lui. Alla fine l’introduzione del monocameralismo fu bocciata in un referendum che costò al giovane Matteo la poltrona di presidente del consiglio e poi quella di segretario Pd. Forse Meloni si sarà detta: attenta, chi tocca le riforme rischia di scottarsi. Meglio un’altra Bicamerale. —