Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  settembre 08 Giovedì calendario

Biografia di Francesca Bertini

«Per me l’amore è più importante del successo, non ho nessun rimpianto». Così diceva una donna, un’attrice che aveva conosciuto sia l’uno sia l’altro in misura rilevante. E che aveva saputo uscire di scena - forse, proprio per amore - all’apice della gloria. Ovvero Francesca Bertini, non a caso definita l’ultima diva in una bella biografia su di lei, appena scritta da Flaminia Marinaro. E in un documentario televisivo dell’82.
Talmente diva, sino alla fine della sua lunga vita, che a novant’anni compiuti continuava a recarsi al Grand Hotel di Roma, elegantissima e ingioiellata, carica di piume e belletti, per prendere il tè delle cinque - che gli inglesi chiamano afternoon tea -, ricevere gli amici e gli ammiratori, farsi vedere. Aveva adottato il rito del tè molto tempo addietro, imponendo quella pausa per lei imprescindibile ai registi con cui lavorava.
LA VITA
La Signora del cinema muto nasce a Prato (secondo alcuni, a Firenze) il 5 gennaio 1892, il suo vero nome è Elena Seracini Vitiello. Sua madre è un attrice fiorentina, Adelaide Frataglioni, suo padre adottivo, pare un napoletano, Arturo Vitiello. È un trovarobe, anche se circola la leggenda che sia stato un uomo benestante. Molto, del resto, si è ricamato sulle origini familiari della futura star. É stata soprattutto lei a costruire il mito, la leggenda sua e della famiglia. Per capirlo basta leggerne le memorie, il resto non conta.
Grazie al padre, la bambina passa l’infanzia nella magnifica città partenopea, di cui la intrigano, la ispirano i colori, i profumi, il senso della recitazione, del dramma e della farsa, dello spettacolo perenne. La napoletanità diviene dunque parte di lei. E ha la recitazione nel sangue: comincia molto presto a salire sul palcoscenico, lavorando nella famosa compagnia di Edoardo Scarpetta, poi in diversi film.
IL SUCCESSO
Una vera occasione arriva nel 1910 con Il Trovatore. Quella che ormai si chiama Francesca Bertini va quindi a Roma e recita come protagonista in Histoire d’un Pierrot. Siamo in piena Belle Époque, di cui diviene un simbolo incontrastato. È una fase iniziata a fine Ottocento, e contraddistinta da un senso di ottimismo, leggerezza, vitalità, miglioramento delle condizioni di vita di molte persone, fiducia nel progresso. Tante sono le scoperte - fra cui l’illuminazione elettrica, l’automobile, il radio e appunto il cinematografo - che contribuiscono ad accrescere l’illusione di vivere nella migliore delle epoche possibili. Eppure, quella fase colma di speranze, in cui la modernità irrompe con prepotenza nella storia, è destinata a spegnersi bruscamente con lo scoppio della Prima guerra mondiale.
Questo accadimento drammatico non frena l’ascesa della bruna e intensa Francesca, che nel 1915 interpreta Assunta Spina, un film basato sul testo omonimo di Salvatore Di Giacomo. Il regista, Gustavo Serena, avrebbe commentato: «E chi poteva fermarla? La Bertini era così esaltata dal fatto di interpretare la parte di Assunta Spina, che era diventata un vulcano di idee, di iniziative, di suggerimenti». Si tratta di un exploit notevole: lei padroneggia alla perfezione non solo la succosa napoletanità, ma anche altri modi di recitare, altri caratteri, che le consentono di esprimere un’ampia gamma di sentimenti ed emozioni.
Con il successo arrivano i capricci, le pretese, il cosiddetto divismo ( la parola diva viene inventata per lei) che si manifesta in mille modi. In questo, la Bertini è un’antesignana delle attrici dei decenni successivi. Caricando sempre più l’atteggiamento da femme fatale torbida e avvolta di mistero, Francesca piace, convince. Tanto che lavora in sette film, tratti dal romanzo I sette peccati capitali di Eugène Sue. Ognuno di essi è appunto dedicato a un peccato. Non si tratta di un travolgente successo, ma non importa. L’attrice è ormai talmente personaggio, che viene coniata un’espressione, un verbo, bertineggiare, per riferirsi a scene, movenze, gesti molto drammatici e plateali. Bella, romantica, elegante, dannunziana, è l’icona perfetta di quel periodo storico.
IL TEATRO
Continua a girare film, interpreta celebri donne della letteratura e del teatro come La Signora delle Camelie e Tosca, guadagna benissimo. Viene chiamata a Hollywood dalla casa cinematografica Fox, ma declina l’invito. «Non ho mai sentito l’America», dirà. Stravaganze, impuntature, passioni: tutto si consente e tutto le viene consentito. La sua stella, però, brilla ancora per breve tempo. Nel settembre 1921 sposa il banchiere Alfred Cartier, dopodiché abbandona quasi completamente il cinema. Un po’, perché si sta imponendo il sonoro e lei non ha una bella voce. Ma soprattutto per dedicarsi al marito e alla famiglia. La sua esistenza entra così in una fase più quieta.
Molti anni dopo, fra i Sessanta e i Settanta, la Bertini concede interviste televisive a Mike Bongiorno, Maurizio Costanzo e altri, con grande successo. Nel 1976, Bernardo Bertolucci le fa interpretare un piccolo ruolo, un cammeo nel kolossal Novecento. Infine, la Divina diva che inventò sé stessa muore il 13 ottobre 1985 a Roma.