Corriere della Sera, 8 settembre 2022
Quei 59 detenuti morti suicidi
Il tetto dei 57 suicidi in carcere raggiunto nel 2021 è stato già superato: 59 nel 2022, e siamo solo a settembre. Con un’impennata estiva da record: 16 ad agosto, uno ogni due giorni. «Una sconfitta per lo Stato», ha detto la ministra della Giustizia Marta Cartabia, e ieri anche papa Francesco ha dedicato un pensiero alle «tante persone che si tolgono la vota» dietro le sbarre.
«Ciascun suicidio ci interroga sugli sforzi da compiere per migliorare le condizioni di vita in carcere e intercettare il disagio delle persone prima che compiano gesti estremi», dice Carlo Renoldi nella sua prima intervista da quando, a marzo scorso, è stato nominato capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Svelando un altro dato allarmante: «Voglio ricordare i 1.078 tentati suicidi sventati quest’anno grazie al tempestivo intervento del nostro personale, a cominciare dalla polizia penitenziaria, il cui prezioso ruolo stenta ad essere riconosciuto nella sua importanza. Tutti noi siamo grati ai vigili del fuoco che intervengono nelle sciagure o a poliziotti e carabinieri che ci garantiscono la sicurezza, ma non abbastanza a chi, negli istituti di pena, è impegnato quotidianamente spesso al di là dei compiti assegnati».
Che cosa si nasconde dietro queste cifre da record?
«In generale i suicidi in carcere sono molto più frequenti rispetto alla situazione esterna, e l’esperienza insegna che i detenuti hanno bisogno di un supporto maggiore. Soprattutto quando intervengono fattori personali come la rottura di legami familiari, o quando prevale la paura di non farcela ad affrontare la detenzione, con la vergogna e lo stigma sociale che comporta; oppure quando il senso di vuoto esistenziale, soprattutto in chi vive in condizione di “marginalità sociale”, diventa un baratro che sembra non avere alternative».
Dall’esame dei singoli casi si riescono a intuire le cause del fenomeno?
«Ci sono indicatori utili alla sua descrizione. Dei 59 suicidi del 2022, solo 25 riguardavano detenuti definitivi, gli altri erano in misura cautelare; 25 erano stranieri, 10 quelli con una diagnosi di patologia psichiatrica; in 8 casi il suicidio è avvenuto nei primi dieci giorni dalla carcerazione, mentre 3 avrebbero finito di espiare la pena quest’anno, uno addirittura il giorno dopo, e altri 5 nel 2023. Soltanto uno era nel circuito dell’alta sicurezza, riservato ai detenuti più pericolosi. In 22 casi il titolo si trattava di reclusi per reati di violenza sulle persone, tra cui 6 casi di maltrattamenti in famiglia. Sette avevano meno di 25 anni. Credo che l motivazioni vadano ricercate nei vissuti delle persone, e lì diventa decisivo il delicato e complesso lavoro di tutte le professionalità presenti nel carcere».
Che cosa prevede la sua circolare per un “intervento continuo” di prevenzione?
«Abbiamo fornito a Provveditorati e Direzioni una serie di indicazioni per superare un approccio spontaneistico e non sistematico, sollecitando l’aggiornamento dei piani locali di prevenzione e sottolineando la rivitalizzazione degli staff multidisciplinari per elaborare progetti di sostegno. Abbiamo indicato una serie di “eventi sentinella”, con informazioni fornite dal personale, dal volontariato, dagli avvocati, dalle famiglie dei detenuti».
E quali interventi concreti sono necessari per ridurre il malessere dietro le sbarre?
«Serve senza dubbio un maggiore supporto psicologico, quindi più personale medico specializzato inviato dalle Asl. Ma intanto noi ci siamo già mossi per quanto era in nostro potere e d’accordo con la ministra Cartabia abbiamo destinato circa 2.700.000 euro, con una variazione del bilancio in corso d’opera, per aumentare di 200 unità la presenza di psicologi: la profonda solitudine è spesso alla radice di tanti gesti estremi».
C’è chi chiede di aumentare le telefonate all’esterno consentite ai detenuti.
«Prima della caduta del governo stavamo lavorando a una modifica del regolamento penitenziario che estendesse in maniera ancora più chiara e netta, rispetto all’emergenza pandemica, la possibilità delle telefonate e dei colloqui, ma la crisi politica ha arrestato la riforma. Ora stiamo per varare una circolare con la quale vengono valorizzate le videochiamate».
Il sovraffollamento è ancora un problema?
«Il sovraffollamento è un problema cronico, attualmente l’indice globale è del 118 per cento, ma ci sono situazioni più gravi di altre. Napoli-Poggioreale, ad esempio, è una delle più critiche nei numeri; quando possibile effettuiamo dei trasferimenti, ma dobbiamo fare i conti con il “principio di territorialità”, secondo cui il detenuto deve essere assegnato all’istituto più vicino a quello di residenza, salva l’appartenenza alla criminalità organizzata. Auspichiamo che i flussi di ingresso vengano ridotti dalla riforma Cartabia che prevede un maggiore ricorso alle misure alternative, non di rado più efficaci del carcere».
Il Garante dei detenuti e i sindacati della polizia penitenziaria denunciano che il carcere sia il «grande assente» della campagna elettorale. Lo pensa anche lei?
«Io penso che il carcere sia un tema complesso, che però riguarda tutti. Parlarne significa parlare di sicurezza collettiva, di reati spesso molto gravi e delle vittime che li hanno subiti; di come possiamo restituire alla società, come chiede la Costituzione, persone che non intendano più delinquere, e questo sarebbe un beneficio sociale, culturale ma anche economico per tutti. Perciò occorre parlare di qualità della detenzione, per assicurare costanti assunzioni di personale, con formazione e condizioni di lavoro adeguate, intervenire sull’edilizia, migliorare l’assistenza sanitaria e incrementare il lavoro dei detenuti”.
E cosa è stato fatto, in concreto?
«Tra qualche giorno, prenderanno servizio 57 nuovi direttori penitenziari, che andranno alla guida di istituti rimasti per troppo tempo con vertici costretti a dividersi tra più realtà. Lo sa che erano 25 anni che non si indicevano concorsi per assumerli? Abbiamo assunto 2.580 agenti penitenziari e altri 3.000 lo saranno entro il 2023, adottato procedure semplificate per l’edilizia penitenziaria, previsto la costruzione di nuovi padiglioni con i fondi complementari del Pnrr, rilanciato il lavoro penitenziario alle dipendenze di imprese private operanti nel settore della innovazione digitale».
Ma la politica è sufficientemente attenta ai problemi del carcere?
«Credo sia decisivo far comprendere che il carcere, con la sua enorme complessità e i suoi infiniti bisogni, riguarda tutta la società, non solo i detenuti e gli addetti ai lavori; un carcere che risponde al dettato costituzionale garantisce più sicurezza».