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 2022  settembre 08 Giovedì calendario

Intervista a Stafania Sandrelli

VENEZIA – Con Stefania Sandrelli arrivano al Lido sessant’anni di storia del nostro cinema. L’attrice riceve il premio Bianchi (Sindacato nazionale giornalisti cinematografici) e portaAcqua e anice – presentato nella sezione Giornate degli autori – di Corrado Ceron, in cui è un’ex star da balera in un viaggio a tappe tra amici e e luoghi in cui è stata felice, destinazione Lugano. A guidare il furgoncino una ragazza (Isabella D’Amico). Nel bar dell’Excelsior l’attrice, 76 anni, alterna risate, ricordi e riflessioni. È bella.
Che rapporto ha con Venezia?
«Mia figlia è stata concepita a Venezia. Siamo venuti con Paoli a gennaio, lei è nata il 31 ottobre. Era freddo, siamo usciti, “che bello andiamo qui o lì” ma battevamo i denti. E quindi, a letto. Così è nata Amanda. Con molta gioia nostra».
E con la Mostra?
«Sono una spettatrice cinefila. Ho visto Il signore delle formiche di Amelio. Sarei volata sulle transenne del tappeto rosso pur di entrare in sala. Ero stanca ma il film mi ha avvolto nel suo bozzolo di emozioni e musica. Bello».
Cosa cerca in un film?
«L’originalità. Non mi piacciono i filoni, nella mia carrierona ho sempre cercato di fare slalom. Amo le sorprese, le bandierine sulla luna».
“Acqua e anice”?
«Ne parlai col regista prima della prima pandemia. Poi Giovanni (Soldati,ndr )è stato male, ho vissuto la sua vita senza fare altro, monotematica nei pensieri. Si può capire, dopo quarant’anni insieme.
Poi con Ceron ci siamo sentiti: si può fare? Abbiamo girato in Emilia Romagna per un mese».
È ispirato a una storia vera.
«Sì, Olivia era un ruolo che mi calzava, una ex star del liscio, con tante parrucche, forte e libera, che va a trovare i vecchi amici e torna nei posti che l’hanno resa star. Quelle cantanti erano incredibili, suonavano a matrimoni, battesimi, comunioni, diventavano parte integrante delle famiglie».
Un luogo e una persona nel film della sua vita?
«Roma. Ho avuto un colpo di fulmine la prima volta l’ho vista con mio padre. Il cinema ha fatto talmente parte della mia vita che si è mischiato tutto. Tanti amici non ci sono più.
Senza Scola sono orfana, c’era sempre, anche nelle cose private. È difficile per me parlarne».
Nel film c’è il tema dell’eutanasia.
«Si parla di qualità della vita, bisognerebbe parlare anche di qualità della fine. Lo sa anche papa Francesco ma non si può pretendere che l’approvi. Quando dice “pregate per me”, io prego per lui. È l’uomo politico più importante, oggi».
La protagonista del film ha subìto violenza.
«Io non sono stata violentata ma ho avuto un’esperienza terribile con un calciatore della Lazio, morto qualche anno fa. Era il fidanzato di Gigliola, una delle mie migliori amiche, che mi ospitava a casa sua, una delle prime volte che stavo a Roma. Quel giorno eravamo pieni di bambini, anche Gigliola aveva una bambina adorabile, Cristina. Dice: “Facciamo due macchine, ti accompagno io”. Io ho tanti difetti ma sono in buona fede, sempre. Sono distratta, miope... a un certo punto vedo che mi viene incontro, mi dice ti aspetto, realizzo che si aspettava di fare sesso e io non volevo nel modo più assoluto. In quella cabina mi ha menato, gonfiato gli occhi, rotto la faccia, le ossa, ero più morta che viva. Io e Gigliola abbiamo pianto insieme, mi ha chiusa in una specie di scantinato per non farmi vedere. E ha chiamato i carabinieri. Lei non l’ha mai più visto.
L’avevo rimosso, è stata una cosa pazzesca».
Quanto contava l’amicizia?
«Era tutto. Io per Gino Paoli non mi sono sentita una rovina famiglie perché non conoscevo Anna. Non ci siamo sentite mai al telefono nei sette anni della relazione con Gino.
Quando ci siamo lasciati, io e lei gli abbiamo fatto un “bucatino” mica da ridere. Poi io non mi volevo sposare con Paoli. E lui era tutto dedicato a me. Leggevamo libri, ridevamo.
Eravamo esuberanti, anche come palato: mangiavamo a cucchiaiate il patè».
Rimpianti?
«No. Ho lasciato quasi sempre io ma dando tanto tempo alle persone con cui stavo. È una mia prerogativa».
Oggi c’è spazio per l’amore?
«Non mi faccia venire i ghiribizzi. No.
Per me per fortuna è il desiderio, non il bisogno, che prevale. Sono stata così esuberante che mi sento ancora pronta. Ma ho avuto i condizionamenti della famiglia patriarcale in cui sono cresciuta. Mia madre era bellissima ma ha smesso di mettersi in costume a quarant’anni. E così mia zia, mia cugina, mai viste scollate. Donne lavoratrici, di stampo antico. Mi emozionavo quando mamma si metteva il rossetto nella toeletta dentro l’armadio. Tutto questo mi ha condizionato ma non posso dire di essere timida, non avrei fatto l’attrice. Oggi vivo di rendita, ogni tanto faccio qualche bel sogno che mi stura le meningi».
E quindi?
«Quindi non sono pronta. Ma se qualcuno mi volesse “far sentire pronta”, anche Giovanni, eccomi qua».