la Repubblica, 8 settembre 2022
L’Italia dei treni lumaca. Ecco dove si viaggia più lenti di 50 anni fa
Lo studente sventola il biglietto di seconda classe alla stazione di Rimini. Colletto della camicia a punta e pantaloni a zampa d’elefante, ciondola un po’ prima di salire in carrozza. Non c’è posto sulle poltroncine di marroncino stinto. I vagoni straripano e per tirare giù i finestrini deve intervenire il più muscoloso della vettura. Inizia il viaggio verso Bologna. Due ore per un centinaio di chilometri. Ma siamo nel 1972. La tecnologia, il progresso, sono tutte cose che arriveranno con gli anni... Cinquant’anni dopo, 2022, stessa tratta. I treni sono più lucidi e moderni. Alcuni vantano persino due piani e l’aria condizionata. Lo studente ha le cuffiette wireless ficcate nelle orecchie, l’odore della spiaggia da lì alla fine del viaggio sarà solo un ricordo. Allora sbircia il sito di Trenitalia: l’arrivo è dopo due ore. Due ore? Non è che in Romagna il tempo si è fermato al 1972?
Spostiamoci più a sud, in Campania. La Benevento- Avellino di cinquant’anni fa. Lo sferragliare dei treni sulle rotaie, il fischio del capotreno, i viaggiatori che si apprestano a salire, per percorrere la distanza tra i due comuni in 47 minuti. E oggi? Tutto fermo a mezzo secolo fa: 47 minuti ci vogliono tutti. E poi le Marche, col San Benedetto del Tronto-Ascoli Piceno: 40 minuti nel ’72; 47 (sette in più) nel 2022.
Nulla di inventato. È il confronto fatale tra i vecchi avvisi orari, pagine ingiallite e scritte minuziose, conservate nell’archivio di Fondazione Fs (consultabile anche online), e gli orari attuali. È cambiata la comunicazione dei tempi di percorrenza e delle distanze. Oggi, basta una app per ragionare su orari di partenza e arrivo. I tabelloni digitali indicano nelle stazioni le ore e i minuti. Ma, a ben guardare, è solo una questione di forma. I treni regionali collegano un comune e l’altro, da nord a sud, alla stessa velocità di cinquant’anni fa. In molticasi i tempi di viaggio sono persino peggiorati. Il pendolare, per esempio, che da Padova doveva raggiungere Verona, nel 1972 impiegava 55 minuti. Oggi, gli orari dei regionali segnano almeno tre minuti in più. Lucca-Livorno da 57 minuti nel 1972, oggi la si fa in un’ora e 8 minuti.
Altra storia è l’Alta velocità che, per lo più, riguarda l’Italia “in verticale”. Roma-Milano, Torino-Napoli, Firenze-Verona, e così via. I tempi di percorrenza in questi casi si sono dimezzati, se non ridotti a un terzo. In poco più di tre ore, oggi, da Roma si raggiunge Milano. Nel 1972, ci volevano quasi nove ore.
Com’è possibile, invece, che in cinquant’anni passi avanti per il trasporto regionale non ci siano stati? Uno dei motivi, spiegano da Rfi, è il numero dei treni che oggi percorre i binari: le corse dei convogli sono molto più numerose: più treni, uguale più traffico. Anche il numero crescente di fermate lungo i tragitti oggi è uno dei motivi per cui il servizio è rallentato. Oltre al fatto che è entrato in vigore un sistema di sicurezza, chiamato Scmt, che prescrive una certa distanza tra un treno e l’altro.
Ma le associazioni di pendolari e consumatori non accettano scuse. Puntano il dito contro la lentezza dei treni che dura da mezzo secolo. «I diretti tra Alessandria-Torino, negli anni ’70, impiegavano 45 minuti. Poi si è arrivati negli anni 2000 a 50 minuti. Oggi i tempi di percorrenza della stessa tratta sono aumentati a un’ora», spiega Andrea Pernigotti, presidente dell’Associazione pendolari vovesi. Mentre Nica Annibaldis, portavoce dei Pendolari della Roma-Lido protesta perché «gli investimenti per nuovi treni e il potenziamento delle linee previsti dal patto per il Lazio del 2016 non sono mai arrivati». «Le scuse stanno a zero: i tempi di percorrenza non vengono nemmeno rispettati a causa dei ritardi. I pendolari sono già costretti a un grosso esborso economico. Nonostante ciò, non sono agevolati in nessun modo», protesta l’Unione nazionale dei consumatori.