La Stampa, 8 settembre 2022
La ottenne prodigio degli scacchi
Il vecchio e la bambina si guardano negli occhi soltanto all’inizio. Nessuno conosce la vita dell’altro. «d4» muove lei, apertura di donna. «D5» risponde lui in maniera simmetrica. Entrambi osservano i pezzi come se fossero una proiezione di loro stessi sulla scacchiera, loro sono il cavallo, sono i pedoni e sono la regina. Mentre il tempo passa.
Il vecchio si chiama Giovanni Busso, 84 anni, nato a Rivalta, vicino a Torino, commercialista in pensione e appassionato di scacchi da sempre: «Questo è il gioco della mia vita, intendo dire il gioco della mia vita intera. Non ricordo nemmeno quando ho incominciato». La bambina si chiama Ria Arun, ha 8 anni, è originaria di Chennai, India: «Ma io sono arrivata in Italia quando ero già nella pancia della mamma, quindi sono italiana. Viviamo vicino a Milano, non proprio a Milano. Se vuoi sapere dove, si chiama Cesano Boscone». Come sia iniziata la storia da scacchista per lui è un ricordo sfumato, ma non per lei: «Era l’ultima volta in cui sono tornata in India con i miei genitori prima del Covid. Avevo cinque anni. Ero a casa di amici e c’era un bambino che non conoscevo che aveva quel gioco. Mi hanno colpito i pezzi: guarda come sono belli! Ho domandato: “Cosa sono?”. Ho avuto un’insegnante indiana. Ora ti ho detto come è andata».
È andata che la bambina è la campionessa italiana della sua categoria, ed è anche la campionessa italiana nella squadra di chi ha meno di 10 anni. Adesso è a Imperia, dentro un palazzetto dello sport riadattato per ospitare uno dei tornei più importanti di questa disciplina. Che è un gioco, ma forse è anche un modo di stare al mondo. A te Ria, cosa piace di più degli scacchi? «Sono come una guerra senza essere veramente una guerra. I pezzi sono molto carini. E poi devi farti una strategia».
È la sessantaquattresima edizione. Passò alla storia quella con il giocatore con un basso punteggio che batteva tutti. Uno dopo l’altro. Finché all’ennesima vittoria contro scacchisti più blasonati, uno degli organizzatori si insospettì e lo fece passare sotto al metal detector: aveva nascosto una micro telecamera nella camicia e giocava assistito a distanza da uno scacchista molto più bravo di lui.
Pochi altri giochi al mondo possono mettere vicini al tavolo, iscritti allo stesso torneo, esseri umani tanto vari: Ria Arun di 8 anni che muove pezzi «carini», un bambino di origini cinesi nato a Sanremo che si chiama Jun Yi ma da tutti è soprannominato Valentino, il russo Igor Glek che fu numero 12 al mondo due decenni fa e l’ucraino Oleg Romanishin già campione del mondo juniores nel 1973. Il signor Antonino Faraci: presente a 62 edizioni su 64. C’è la bambina più forte d’Italia. E c’è lo scacchista più anziano del circuito, Giovanni Diena, 96 anni, di Recco, che si presenta con un elegante ritardo di cinque minuti, ultimo a prendere posto dal tavolo dal gioco con una camicetta a quadri bianchi e rosa. Tutti lo guardano con il dovuto rispetto: «È stato uno dei primi programmatori italiani. E infatti, è stato suo anche il primo programma usato dalla federazione degli scacchisti per incrociare i giocatori nei tornei».
Divisi per tre categorie, tutti sfidano tutti. Si può vincere o pareggiare. Ognuno ha a disposizione 40 mosse nel giro di 90 minuti, ma il tempo scorre separatamente. Ecco: adesso ha mosso Ria Arun, quindi la sua clessidra si ferma. E inizia a consumarsi il tempo necessario alla contromossa del commercialista in pensione Giovanni Busso.
Cosa vuoi fare da grande? «La dottoressa. Non so di cosa. Non so se del cuore oppure delle gambe rotte. Ma mi piace. Curare è bello. Mia mamma è contenta, è stata lei a raccontarmi quel mestiere». Cosa altro fai quando non giochi a scacchi? «Suono il violino. E mi piace quando a scuola facciamo karate».
Ria Arun andrà in terza elementare. È arrivata a Imperia accompagnata dal signor Walter Ravagnati, arbitro internazionale di scacchi ma qui nelle vesti di responsabile del settore giovanile dell’Accademia degli scacchi di Milano, uno dei posti più prestigiosi dove imparare in Italia: 420 tesserati, 200 dei quali hanno meno di diciotto anni. «Qual è la forza di Ria Arun?», domandiamo al suo allenatore. «Gioca più forte. Vince. È attenta. Ha capacità strategica di classe superiore. Insomma: gioca bene».
Il silenzio è il rumore degli scacchi. La riscoperta di questo gioco antichissimo, inventato forse proprio in India, si deve a due questioni. Sulla prima sembrano esserci pochi dubbi: il successo della serie tv intitolata «La regina degli scacchi». Ma anche la pandemia forse ha avuto un ruolo, costringendo le persone in casa. Per giocare a scacchi bastano due computer collegati. Adesso, per fortuna, i giocatori sono tutti qui: uno davanti all’altro. Non c’è più nemmeno il divisorio di plexiglas. Sembra una nuova era. E quell’era la incarna la bambina partita da Chennai nella pancia di sua madre.
Contro l’ex commercialista Giovanni Busso vince in 33 mosse. Scacco di torre. Lui ci pensa, ci pensa ancora. E abbandona. «Bravissima», dice il vecchio. «È stata una bella partita», dice la bambina. Si danno la mano, firmano il referto e lo consegnano all’arbitro. Ria Arun sembra soddisfatta: «Ho pensato tanto. Mi sono impegnata tantissimo. Ho anche sacrificato un alfiere per vincerla».
Non conta l’età negli scacchi. Perlomeno non conta in maniera decisiva. Nella partita successiva la piccola Ria Arun ha vinto contro un ragazzino peruviano di 13 anni: scacco matto in 44 mosse. —