La Stampa, 8 settembre 2022
Identikit di un indeciso
È noto che la sarta della sposa è la persona più ricercata fino al giorno delle nozze, a cui poi non viene neppure invitata perché già dimenticata. La stessa cosa accade alla terza tipologia di elettore. Fino al giorno del voto il più corteggiato, inseguito e potente è: l’indeciso.
È una figura mitologica nella cui evocazione si accaniscono sondaggisti e politologi. Perché, dicono, può essere decisivo. E già questa è una contraddizione in termini e una preoccupazione per il futuro: decide chi è indeciso? Andiamo bene: lasciamo il pallino a chi si sofferma davanti ai cartelloni elettorali pizzicandosi il labbro inferiore, poi entra in cabina, alza gli occhi al cielo, si dice: «Massì» e fa una croce scegliendo l’opzione appena precedente quella che Gianni Mura definiva “Ornella Vanoni” («Proviamo anche con Dio, non si sa mai»). Alla vigilia i responsabili delle maggiori istituzioni (lo hanno già fatto anche stavolta) invitano tutti a votare, «fare il loro dovere», «partecipare alla democrazia», «esprimersi». Sarà davvero un bene mettere le sorti del Paese in mano a quelli che «poteto potato, tometo tomato»?
L’Italia è una Repubblica fondata sull’indecisione, a tutto. Si sceglie quando proprio non se ne può fare a meno. E anche allora, potendo, si evita. Una prova si ha guardando su internet l’esito di certi sondaggi a triplice scelta. Tipo: «Il Bologna ha fatto bene a esonerare Mihajlovic?». Sì. No. Non so. E c’è sempre una percentuale di “Non so”. Chi ha risposto ha cliccato volontariamente e poi ha deciso di non decidere. Figurarci se subisce un agguato per strada o al telefono e si sente chiedere: «Per chi intende votare il 25 settembre?». Si crea il vuoto di certe interrogazioni alle medie: «Giuro che la sapevo, ma adesso non mi viene in mente». «Indeciso? Ecco sì, quello». Escono titoli come: «Chi vincerà? Il partito degli indecisi». Lo danno al 42%, in crescita fino agli ultimi giorni, poi in ovvia erosione. Nella cifra sono compresi gli astenuti, tutt’altra razza (lo ha fatto notare il politologo Roberto D’Alimonte). Questi altri sono certi della loro scelta, da cui non si muoveranno, e rappresentano un probabile 30%. Il resto è comunque sufficiente per continuare a chiedersi dove andranno a cadere con la punta della matita, per giustificare rilevazioni e alimentare illusioni.
Quel che non viene chiesto mai e si vorrebbe invece sapere è: figliolo, ma tra che cosa sei indeciso? Per dire, se il tuo dubbio è tra Pd e Forza Italia: che cosa hai fatto in tutti questi anni? Sei andato a letto presto? Prima di qualsiasi tg? Oppure, signora mia, sei indecisa tra Bonino e Meloni perché vuoi votare una donna? Davvero: o Bonino o Meloni? Si può capire l’indecisione tra Impegno civico e Noi moderati, faticano anche loro, pur essendosi buttati uno di qua e uno di là, o viceversa e per adesso. Alla vigilia delle ultime elezioni in una webserie intitolata “Buttafuori” Marco Giallini e Valerio Mastandrea fecero uno sketch sull’argomento. «Tu voti?» «Qui dice che a fare la differenza sarà il partito degli indecisi. Io mi sa che lo voto». Chiede una ragazza: «È un nuovo partito?» «Sì, è quello che alla fine fa la differenza». È un tormentone, un loop, un miraggio per chi ha fatto la traversata nel deserto della campagna elettorale e sogna ancora l’oasi quando la clessidra non gli regala che sabbia. Raccontano che alle presidenziali americane del 1972 il candidato democratico George McGovern, nonostante un abisso lo separasse da Nixon nei sondaggi, pensasse incrollabilmente di potercela fare e ripetesse: «Ci sono ancora molti indecisi». Perse di 23 punti percentuali, di 18 milioni di voti, conquistando appena due Stati. Eppur si muovono, se è vera la leggenda per cui un decennio prima lo stesso Nixon li vide spostarsi verso Kennedy dopo il dibattito televisivo in cui sudò troppo. È questo dunque a motivarli infine: non una perla di saggezza, ma due di sudore?
L’indeciso è un fenomeno di marketing, tiene in piedi un mercato, quello dei talk show. A chi altri se non a lui si rivolgono ogni sera e su più di un canale? O è un effetto ottico? Davvero gli spettatori dei duelli tra politici si sintonizzano per capire, farsi un’idea, scegliere? O piuttosto non si tratta di “zoccoloduristi” che lo fanno per sentir ripetere ciò di cui sono già convinti e per ruminare lo stesso trentennale disprezzo nei confronti dello stesso invecchiato avversario? L’indeciso non sarà un burlone che ama nascondersi, travestirsi, confondere le acque per tenere viva la suspence, la speranza, soprattutto di chi è indietro? Infatti, Letta: «Tanti discorsi su previsioni e sondaggi, ma poi quando votano i cittadini in carne e ossa….». Si vedrà.
Di solito gli indecisi veri finiscono per buttarsi in mezzo o sul nuovo, qualcosa che faccia chic ma non impegni. Il preannuncio della loro svolta inizia con la stessa parola ripetuta: «Quasi quasi…». Segue un’intenzione di voto che non li consegna a qualcosa di scolpito e definitivo. Per lo più si tratta di borghesi, settentrionali, in cerca di un fremito intellettuale. Nel 2013 a Milano corse un brivido d’attrazione per Fermare il declino, prima che il suo leader rivelasse qualche pecca nel curriculum, facendo regredire i sostenitori nella titubanza da cui erano usciti per arginare il degrado mettendoci una croce sopra. L’indeciso propende per le sfumature. Il bipolarismo lo atterrisce. Per questo aveva in fondo ragione l’Agcom a negare il dibattito Letta-Meloni, simile a quei cartelloni rosso-nero che riducono la complessità del mondo, la varietà delle pieghe in cui intrufolarsi. All’indeciso devi mostrare che esiste una palette di ombretti con cui truccarsi per non riconoscersi e dirsi: «Quasi quasi stavolta mi butto…dove? Non so». —