Corriere della Sera, 8 settembre 2022
Putin è convinto che l’Occidente sarà isolato
BERLINO C’è un’antica fiaba russa, che ogni babushka racconta ancora ai bambini più piccoli. Narra la storia di una furba volpe e di un lupo prepotente, che vorrebbe mangiare il pesciolino che quella ha appena pescato in un lago ghiacciato. La volpe invece lo convince a cercare di catturarne lui uno ben più grosso, facendo un buco nel ghiaccio e immergendo la sua lunga coda come esca. Il lupo ci casca e affonda la coda nell’acqua gelata, mentre la volpe gli consiglia di lasciarvela il più a lungo possibile. E prima di andarsene gira per un po’ intorno all’allocco, ripetendo la cantilena: «Gela, gela, coda di lupo». Cosa che puntualmente avverrà, costringendo il lupo a strapparsi l’appendice ormai congelata.
Per spiegare la sua strategia sul gas, ieri Vladimir Putin ha citato proprio questa famosa favola, dove l’astuta volpe è la sua Russia e il lupo tracotante, manco a dirlo, è l’Europa. Al Forum Economico di Vladivostok, all’estremità orientale della Federazione, il leader del Cremlino ha definito «stupido» il piano europeo di imporre un «price cap» sul prezzo del gas russo, perché questo porterebbe a più alti prezzi del metano e a gravi problemi economici per l’Europa. Ed ha aggiunto: «Ci sono precisi impegni contrattuali e se verranno prese decisioni politiche che li contraddicono, noi non le rispetteremo, non forniremo nulla che vada contro i nostri interessi. Non forniremo gas, petrolio, carbone o kerosene, non forniremo niente». E a quel punto, ha concluso irridente, «non ci resterà che fare come nella famosa favola e ripetere gela, gela, coda del lupo». Ma nel suo j’accuse, Putin è andato a tutto campo. E non ha risparmiato neppure l’accordo sul grano, firmato con l’Ucraina in luglio sotto la regia del presidente turco Erdogan e dell’Onu, che sarebbe all’origine della penuria globale di cereali. Secondo il presidente russo, le navi cariche di granaglie partite da Odessa e altri porti del Mar Nero avrebbero in maggioranza raggiunto i Paesi europei invece di quelli più poveri, contribuendo ad aggravare la crisi alimentare globale. In realtà, secondo i dati diffusi dalle Nazioni Unite, degli 87 carichi partiti dalla firma dell’intesa, 30 hanno raggiunto porti europei, mentre 57 sono andati in Cina, Egitto, Iran, Libano e Turchia. Nel chiaro tentativo di assicurarsi le simpatie dei Paesi africani, Putin ha anche chiesto di cambiare le attuali rotte delle navi che trasportano il grano verso l’Europa, dirottandole invece verso le nazioni dell’Unione africana.
La «lectio» di Vladivostok conferma se mai ce ne fosse stato bisogno, che Vladimir Putin ha ormai bruciato i ponti dietro di sé e gioca il tutto per tutto. Brandisce come spauracchio l’arma del gas nel tentativo di frantumare il fronte occidentale. E denuncia la «febbre delle sanzioni», che finiscono per danneggiare il mondo intero. Ma vuole anche rovesciare la narrazione della guerra di aggressione in Ucraina, da lui iniziata, e delle sue conseguenze per la Russia, che nella sua vulgata starebbe ottenendo benefici politici, mentre non è poi così mal messa sul piano economico come gli analisti in Occidente vorrebbero far credere: «Quest’anno la nostra decrescita sarà appena del 2%. Non abbiamo perso nulla e abbiamo rafforzato la nostra sovranità».
La favola
Per lo zar la «furba» volpe russa ha messo in un angolo e battuto il «lupo» Occidente
E se ammette che «una certa polarizzazione è in corso, sia nel mondo che dentro il nostro Paese», Putin dice che può portare solo dei vantaggi. Nel mondo perché è «saltato l’ordine unipolare» a guida americana, la Russia «non è isolata» e sta ri-orientando tutte le sue priorità verso la Cina e l’Asia. All’interno, sic, perché questa ha permesso di «far piazza pulita di elementi nocivi», compresi i giornalisti che hanno lasciato il Paese.
Il gas resta la sua ossessione. Putin cerca ancora di vendere un’altra «favola», cioè che la sospensione delle forniture del Nord Stream 1 sia dovuta solo a fattori tecnici, smentendo così il suo stesso portavoce che l’ha legata alle sanzioni. Ma soprattutto, assume un atteggiamento di sfida verso l’Unione europea, che lavora al price cap, dicendosi sicuro di poter trovare altri acquirenti per il suo metano altrove: «Le economie europee hanno avuto gas naturale dalla Russia per decenni, traendone vantaggi competitivi. Se non ne hanno più bisogno, la domanda è altissima, non avremo alcun problema a venderlo». In realtà, non è così facile: l’unico gasdotto esistente diretto in Cina, costruito nel 2019, è infatti alimentato da giacimenti diversi da quelli usati per l’Europa. Mentre i lavori di costruzione della nuova condotta, che dovrebbe passare per la Mongolia, non cominceranno prima del 2024. Il mondo di Vladimir Putin conosce soltanto certezze. Non c’è spazio, nel racconto dello Zar, per i disastri subiti da una campagna militare costata decine di migliaia di morti e che oggi subisce le controffensive ucraine, o per gli avvertimenti dei suoi stessi consiglieri economici, secondo i quali ci vorranno anni perché l’economia russa torni ai livelli degli anni precedenti. «È impossibile isolare la Russia», dice Putin. Ma accanto a lui, sul palco di Vladivostok, ci sono il leader di Myanmar, il premier della Mongolia e il numero tre della nomenklatura cinese.
Andrà sicuramente meglio la prossima settimana a Samarcanda, dove Putin incontrerà il presidente Xi Jinping. Ma nella città di Tamerlano, l’uomo del Cremlino sarà soltanto l’allievo.