Il Messaggero, 7 settembre 2022
La Russia a secco di chip
Le sanzioni occidentali fanno male alla Russia, che adesso si trova a corto dei microchip indispensabili alla sua industria civile e militare. Se il Cremlino nega all’Europa il gas, minacciando di ripristinare le forniture via Nord Stream soltanto una volta che l’Ue avrà sospeso le sue misure contro Mosca, c’è però un altro fronte della complessa guerra economica in atto nel Vecchio continente in cui è semmai l’Occidente a mettere alle strette la Russia. Negandole, cioè, semiconduttori, trasformatori, connettori, transistor, isolanti e altra componentistica tecnologica: tutti prodotti di aziende statunitensi, tedesche, olandesi, britanniche, taiwanesi e giapponesi a cui la Federazione russa e le sue imprese non hanno più accesso. Il portale Politico Europe ha visionato una delle liste della spesa stilate da Mosca, molto dettagliate nel riportare secondo tre diversi livelli di priorità i microprocessori prodotti, tra gli altri, da Intel, Micron, Infineon, AirBorn sui quali è caccia aperta, visto che la Russia non riesce a fabbricarli internamente, e pure i prezzi unitari che è disposta a pagare. Usa, Ue e alleati occidentali hanno infatti istituito regimi di controllo delle esportazioni in modo da impedire alle aziende di vendere potenziale componentistica cosiddetta dual use, utile cioè tanto alla manifattura civile quanto all’industria bellica. Spesso si tratta di restrizioni in vigore già prima dell’inizio dell’invasione dell’Ucraina, ma che negli ultimi mesi sono state ulteriormente rafforzate dalle sanzioni che prendono di mira l’export tecnologico verso Mosca in ambito energetico, militare e dei trasporti. LA CARENZAResoconti dell’intelligence ucraina citati dall’amministrazione Biden durante le prime fasi della guerra, del resto, davano conto che in Russia ci si arrangiava recuperando i chip da frigoriferi, lavastoviglie e altri elettrodomestici, mentre gli equipaggiamenti militari più avanzati sono stati via via rimpiazzati da armamenti di epoca sovietica, in difficoltà a sostenere il confronto con le attrezzature più moderne che Ue e Usa hanno invece fornito a Kiev. C’è poi una variabile ad aggravare lo scenario per il Cremlino: si tratta della crisi che si è abbattuta sulle filiere globali dei semiconduttori e che continua a mietere vittime, dalle tessere sanitarie alle carte di credito. I colli di bottiglia stanno portando spesso i prezzi dei chip necessari alla Russia da 20 a oltre 1000 euro e hanno pure azzoppato il ruolo di intermediari altrimenti fedeli come la Cina, che non riuscirebbe a procacciare i chip hi-tech di cui il Cremlino ha bisogno. Non va meglio sul fronte dell’industria civile: oltre a Intel, anche i principali produttori mondiali come Samsung e Qualcomm hanno interrotto i traffici commerciali con Mosca, aumentando così le difficoltà russe nella produzione di automobili, smartphone e pc. Washington ha poi formalizzato una nuova stretta nei giorni scorsi, istituendo limiti per l’export di chip necessari ai supercomputer e ai sistemi di intelligenza artificiale non solo nei confronti di Mosca, ma pure per Pechino. L’IMPATTOLa fame di chip non è però isolata. Secondo un report a tinte fosche datato 30 agosto, interno e destinato a rimanere riservato, sono tanti i settori dell’economia russa che rischiano il tracollo. Lo scenario di stress per il Pil prevede un crollo dell’11% nel 2023. E a pagarne le conseguenze sono famiglie e imprese. L’impatto delle sanzioni sull’import potrebbe lasciare i telefoni russi senza Sim nel giro di 2-3 anni e far scomparire gran parte del pollame dalla tavola, mentre il settore farmaceutico rischia di vedersi tagliare l’accesso a quattro ingredienti su cinque.