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 2022  settembre 07 Mercoledì calendario

Le truffe di Franco Terlizzi


Milano Tra i clienti della carrozzeria c’era anche l’ex moglie del calciatore Massimo Oddo. Per lei, il «pugile» Franco Terlizzi chiede attraverso l’ex carabiniere Cosimo Caputo (in congedo da dieci anni e oggi indagato) un appuntamento «di cortesia» in caserma per una denuncia: «Gli hanno rigato tutta la macchina. Puoi venire tu? Mi fai un piacere enorme. Ce l’ho in carrozzeria».
Ma l’ex boxeur dei pesi massimi leggeri diventato noto all’Isola dei famosi (edizione 2018), aveva contatti con mezza Milano. Quella dello spettacolo e della notte: 66 mila seguaci su Instagram, pr ed ex security della discoteca Hollywood di corso Como, grande tifoso milanista, un presente come personal trainer dei Vip, scatti con i più diversi volti noti di tv e sport, da Raffaella Fico e Massimiliano Allegri a Paolo Ruffini e Filippo Inzaghi, fino a Fedez, con cui ha una foto del dicembre 2020. È finito in manette all’alba di ieri nel blitz della Direzione distrettuale antimafia di Milano contro i nuovi assetti del clan Flachi della ’ndrangheta.
Tredici i fermi eseguiti dalle fiamme gialle di Milano e Pavia e firmati dai pm Gianluca Prisco e Andrea Zanoncelli. Terlizzi, 60 anni, è accusato di aver organizzato una serie di truffe alle assicurazioni e di intestazione fittizia di beni per conto della famiglia mafiosa. Tra i clienti della carrozzeria «Nuova Milano» di Cormano che si rivolgevano a Terlizzi e soci per «fare la cresta» sulle assicurazioni denunciando sinistri mai avvenuti, c’era anche una persona, ora indagata, imparentata alla lontana con la famiglia Maldini. E gli investigatori della guardia di Finanza hanno annotato 337 contatti nel periodo d’indagine con Piercesare Maldini, fratello del manager e storico capitano rossonero Paolo. «Non posso negare di conoscere Davide Flachi, ma con lui ho solo avuto rapporti professionali e commerciali. Non ho mai avuto a che fare con le ipotetiche truffe e i traffici di droga contestati», le parole di Terlizzi all’avvocato difensore.
I legami
Rapporti con Davide Flachi, figlio di Pepé:
in Lombardia uno
dei boss più importanti
Eppure già nel 2012 il suo nome era emerso nell’inchiesta Redux-Caposaldo che aveva portato alla condanna del boss Pepé Flachi, il re della Comasina, e di suo figlio Davide. Il capofamiglia, uno dei nomi più importanti della ’ndrangheta in Lombardia, è morto a 70 anni, ergastolano, a gennaio di quest’anno. Al funerale gli abbracci e le lacrime, avevano solo certificato quello che già era chiaro: il figlio Davide Filippo Vincenzo, 43 anni, ne avrebbe preso la piena eredità. «Lui è piccolino però picchia di brutto, e poi essendo “figlio di”, la gente aveva paura. Prima lo rispettavano per il padre, ora per lui stesso».
Tanto che nelle intercettazioni dei suoi tirapiedi, «Davidino», così chiamato da sempre per la statura non proprio imponente, era diventato con un tocco di ruffianeria «il gigante»: «È messo bene, ha delle belle amicizie... è uno che si fa valere. Già ai tempi lo avevano arrestato perché era con suo padre (Pepé, ndr), gli hanno dato l’associazione perché prendevano le tangenti in tutta Milano». Davide Flachi è il braccio violento della famiglia: «È già tanto che entri ancora in Comasina ad abitare – l’intimidazione a un addetto alle consegne di droga – ti piglio la testa e te la faccio volare pezzo di me... metti le mani in tasca e pensi di farmi il lavoro a me. Il lavoro lo faccio io a te e a tutta la tua settima generazione». Nell’inchiesta non viene contestato il reato di associazione mafiosa ma ruota intorno al traffico di coca, hashish e marijuana. «Cugino, mi raccomando fai una vita tranquilla, stai lontano dai paesani», così Flachi jr istruiva il suo fedelissimo Santo Crea. Grazie a cellulari criptati la banda comprava e vendeva droga e armi con tanto di foto promozionali: «Senti hanno armi, un mitra, un fucile a pompa e una 22. Vogliono 3.500 euro, con tutti i colpi».
Sui social
Selfie con calciatori, allenatori, cantanti, soubrette e 66 mila follower su Instagram
Il provvedimento di fermo è scattato per il rischio di fuga e inquinamento delle indagini: Terlizzi aveva contatti anche con un ispettore di polizia in servizio alla Dia. Anche a lui si rivolgeva per avere vie «privilegiate» per le denunce fasulle di incidenti mai avvenuti.