Corriere della Sera, 6 settembre 2022
I problemi di MarcoDamilano
Il problema principale di Marco Damilano è che dovrebbe togliersi quell’espressione da «sincero democratico»; lo penalizza, ne fa un eroe da ceto medio riflessivo. La nuova trasmissione su Rai3, «Il cavallo e la torre», lo chiama a un’altra missione: ora è un personaggio coinvolto dal destino in una recitazione ardua e sottile che deve sedurre l’intenditore e insieme irretire la più vasta platea.
Personaggio, appunto, un ibrido fra lo «spiegone» di «Propaganda Live», dove i tempi lunghi corrispondevano alla vocazione didattica, e «Il fatto» di Enzo Biagi, dove la secchezza e l’apoditticità facevano premio sull’argomentazione seriosa. Il programma è ancora in rodaggio ed è facile prevedere che spariranno quelle piccole incertezze tra i servizi e il ritorno in studio, fra l’inevitabile impaccio dei primi giorni (la tv è ripetizione, routine, abitudine) e i servizi ancora molto costruiti.
Il vero ostacolo riguarda la collocazione in palinsesto: «Il fatto» di Biagi funzionava anche perché veniva subito dopo i Tg1. Era vissuto come una specie di commento alle notizie di giornata. «Il cavallo e la torre» è collocato fra «Via Dei Matti n° 0» e «Un posto al sole», trasmissioni che non rappresentano certo una linea editoriale omogenea (senza parlare del Tg regionale, di «Blob» e dei programmi di prima serata). «Il cavallo e la torre» è un ago nel pagliaio, un programma che lo spettatore deve andare a cercarsi. Anche la scelta scenografica del «cavallo» di Viale Mazzini come emblema del servizio pubblico non pare felicissima. In origine, la scultura di Francesco Messina doveva rappresentare un destriero nell’atto di ergersi da terra, in tutta la sua potenza, come simbolo di potere e di forza della Rai e della comunicazione in generale. Ma poi, ai primi segni del tempo, quella scultura è diventata per tutti il «cavallo morente», con tutta la retorica aziendale che ne consegue.