Corriere della Sera, 6 settembre 2022
Così Putin ha chiuso la Novaya Gazeta
Ventidue anni in un carcere di massima sicurezza per aver diffuso notizie segrete che, in realtà, chiunque può reperire su documenti ufficiali e articoli pubblicati da tempo. Ivan Safronov, 32 anni, ex giornalista di Kommersant, ha ricevuto ieri una delle sentenze più pesanti nella storia della Russia post-sovietica. Niente a che vedere con l’uomo che nel 2015 ha assassinato l’oppositore Boris Nemtsov e si è preso vent’anni.
I terroristi
O con uno dei terroristi sopravvissuto alla strage del teatro Dubrovka del 2002 che se l’è cavata con 19 anni. Nel 2001 il giornalista Grigorij Pasko, ufficiale di Marina, accusato pure lui di spionaggio, fu condannato per aver passato presunte informazioni segrete al Giappone. Si prese quattro anni. Ma erano altri tempi.
Gli avvocati di Safronov sostengono che la sentenza è del tutto politica, «per dare un esempio» e che il giovane giornalista paga perché aveva rivelato l’intenzione del governo russo di vendere caccia Sukhoi-35 all’Egitto.
Durante il processo, i legali di Safronov hanno pubblicato 19 link a documenti pubblici che contengono le stesse informazioni «top secret» che il giornalista avrebbe passato ai suoi «contatti», un reporter ceco (che ha smentito qualsiasi legame con i servizi segreti del suo Paese) e un politologo russo residente in Germania, Demuri Voronin. Questi ha fatto l’errore l’anno scorso di entrare in Russia, convinto di non aver nulla da temere. È stato subito arrestato ed ora è anche lui sotto processo per spionaggio.
Accordo rifiutato
Convinto della propria innocenza, Safronov un mese fa ha rifiutato un accordo proposto dall’accusa che gli offriva una «mite» condanna a 12 anni in cambio della confessione. Il suo rifiuto ha convinto i giudici a comminare la severissima pena. Il rilascio immediato di Safronov è stato chiesto da quindici media indipendenti russi e dall’Unione Europea.
Nella stessa giornata è arrivata anche un’altra tegola sulla testa dei giornalisti di Novaya Gazeta, il giornale fondato nel 1993 grazie a Mikhail Gorbaciov che donò i fondi necessari utilizzando una parte dell’assegno del premio Nobel per la pace che aveva ricevuto.
Un tribunale moscovita ha revocato la licenza alla Novaya per non aver fornito dati sul passaggio di proprietà del 2006, quando nuovamente Gorbaciov intervenne finanziariamente assieme a un imprenditore per salvare la pubblicazione dalla bancarotta. La decisione della corte è stata criticata anche dall’Ufficio per i diritti umani dell’Onu che l’ha definita «un altro colpo all’indipendenza dei media in Russia».
L’appello
Due giorni dopo il funerale dell’ex presidente dell’Urss, quindi, la sua creatura si vede revocare la licenza. Una decisione contro la quale il direttore Dmitrij Muratov, che a sua volta ha ricevuto il Nobel l’anno scorso, ha intenzione di presentare appello. Il giornale di carta ha già sospeso le pubblicazioni perché riconosciuto non «in regola» con le norme statali su quello che si può e non si può scrivere sull’Operazione militare speciale in Ucraina.
Così i suoi giornalisti lavorano online dall’estero (ma in Russia il sito è pure bloccato). Muratov invece ha deciso di rimanere a Mosca.