Corriere della Sera, 6 settembre 2022
Perché si rischia un altro caso Lehman
Il grande crash di Lehman fu il processo di scoperta – prima lento, poi precipitoso – delle falle nascoste che Wall Street non sapeva di avere. Ne impediva la vista la certezza ideologica di avere un mercato efficiente
Così perfetto che avrebbe aggiustato da sé eventuali guasti. E almeno in questo le conseguenze economiche della guerra in Ucraina rischiano di diventare una replica di quel punto di rottura del 2008, ma stavolta per il sistema europeo dell’energia.
Così almeno pensa il ministro finlandese dell’Economia Mika Lintilä, che domenica ha varato un soccorso pubblico da dieci miliardi di euro per le imprese elettriche del Paese mentre il governo svedese ne annunciava uno da 23 miliardi per le proprie. Questa situazione «ha gli ingredienti per diventare una Lehman Brothers del settore dell’energia», ha detto Lintilä. E davvero oggi l’Europa del gas e dell’elettricità vive una dinamica che ricorda il modo in cui quel crollo del 2008 partì da un angolo opaco del mercato – i subprime – per svelare falle sistemiche ovunque.
Il taglio delle forniture
Il punto di partenza oggi è il taglio delle forniture messo in atto dalla Russia per far esplodere i prezzi del metano. Se Vladimir Putin ricorre alla ritorsione, è perché le sanzioni evidentemente mordono e il dittatore di Mosca cerca di spingere l’Europa a rimangiarsele. Spera che la sua strategia propaghi un’onda d’urto a cerchi concentrici, che sveli una dopo l’altro le vulnerabilità e gli angoli oscuri dell’architettura europea dell’energia. Uno di essi si trova a Lipsia, in Sassonia. Si chiama European Energy Exchange (Eex) e ha come azionisti Deutsche Börse al 75%, ma anche Enel all’1,59%, Edison allo 0,5% e Électricité de France allo 0,45%: è la principale piattaforma del continente per lo scambio di contratti future dell’elettricità. Ogni mese circa cinquecento produttori elettrici dell’Unione europea vi vendono i loro megawattora attraverso contratti che li impegnano alla consegna di quantità ben precise tra uno, due o tre anni a prezzi prefissati fin da subito.
Sembra un mercato perfettamente efficiente o, come lo ha definito il suo direttore generale Steffen Köhler giorni fa, «essenziale per la sicurezza e la trasparenza dei prezzi». In tempi normali, forse. In questi tempi di guerra economica con Putin invece i suoi meccanismi finanziari minacciano di innescare una catena di default per molte decine di miliardi di euro e di obbligare i governi a salvataggi delle imprese elettriche a spese di contribuenti prima ignari, poi furibondi. Il governo finlandese con dieci miliardi di garanzie pubbliche, la Svezia con 23 e la Germania con almeno undici miliardi impegnati per il gruppo dell’energia Uniper stanno già aprendo la strada. La Francia sta nazionalizzando Edf. In fondo, ripetono tutti ciò che fecero molti governi occidentali per le banche oltre dieci anni fa.
L’algoritmo dei prezzi
Oggi l’esposizione finanziaria delle imprese elettriche a causa dei meccanismi della piattaforma Eex di Lipsia, del resto, è colossale: circa duecento miliardi di euro accumulati quasi tutti negli ultimi mesi – secondo stime dell’industria – di cui circa trenta o quaranta in più solo nella giornata di ieri con il balzo dei prezzi dell’energia. È bastato che Gazprom prolungasse la chiusura del gasdotto Nord Stream 1, innescando rialzi violenti degli indici sulle piattaforme del gas e dell’elettricità, perché centinaia di imprese dovessero attingere alle loro linee di credito con le banche per versare nuove garanzie all’Eex. Ogni strappo all’insù dei prezzi costringe i produttori elettrici partecipanti al mercato di Lipsia a nuovi pagamenti: anche se le quotazioni sono già salite di dieci volte e più; anche se esse sono il frutto teorico – prodotto da un algoritmo – di scambi che non avvengono neanche più su questa piattaforma di Lipsia, perché ormai è molto povera di liquidità. Anche se domanda e offerta non s’incontrano e lo scambio non avviene, l’intelligenza artificiale fissa il prezzi al rialzo.
Le regole
L’innesco è tecnico. Come fossero puri trader, i produttori elettrici che vendono con contratti a termine (per esempio: consegna di una certa quantità nel settembre 2024 a 200 euro a megawattora) sono costretti a versare garanzie alla Borsa di Lipsia ogni volta che il prezzo sale oltre quello previsto dai loro contratti. Il presupposto è che il venditore in teoria potrebbe dover comprare le quantità che poi si è impegnato a fornire, quindi la Borsa vuole essere certa che l’operatore abbia i soldi per farlo. È il metodo che si applica ai trader sui future, ma queste aziende non hanno bisogno di acquistare materia prima perché la producono in proprio. Ormai lo stress finanziario di alcune di esse è tale che alcune banche ne hanno già liquidato le posizioni per recuperare parte dei crediti, facendo saltare le forniture di energia.
Di recente le compagnie elettriche hanno chiesto all’Eex di cambiare le regole, ma il vertice di Lipsia ha risposto loro di farsi aiutare dai governi – ha detto – come ha già fatto la Germania. Ora il sistema cammina su ghiaccio sottile. Di recente la liquidità degli scambi è stata di meno di centomila euro al giorno sui future a un anno e praticamente zero su scadenze più lunghe. Basterebbero spiccioli a Gazprom per manipolare il sistema al rialzo tramite un trader corrotto: gli algoritmi di Lipsia fanno impazzire le quotazioni elettriche d’Europa verso l’alto anche sulla base di offerte minuscole, su scambi che non si concludono. Così i produttori s’indebitano sempre più per versare altre garanzie. E la falla nel sistema del mercato perfetto, ai tempi di Putin, diventa voragine.