la Repubblica, 6 settembre 2022
A Venezia mancano i baci
Lungo il Canal Grande di notte, giardini e terrazze degli antichi palazzi in festa, risplendono di luci, di musica, di ricchezza, di cultura, di mondo, come fossero gli ultimi giorni prima del big bang. Cinema e Arte della Biennale e Venezia sono come una fortezza che si è barricata contro il diluvio; fuori c’è l’Italia perduta nel frastuono cieco pre-elettorale, ma quel vaneggiare di bambini che si fanno i dispetti là non è entrato, là resiste la festa.
Però c’è chi teme che l’indesiderata campagna elettorale possa sbarcare sul tappeto rosso di questa recinto di eleganza e ingegno: magari il 7 e l’8 settembre (anniversario, 1943, dell’ultimo tentennamento di Badoglio seguito dall’annuncio dell’armistizio) quando la Mostra darà nel pomeriggio il documentario Franco Zeffirelli conformista ribelle di Anselma Dell’Olio, prodotto da Francesca Verdini, compagna di Matteo Salvini, il quale però non ha ancora fatto sapere se ci sarà anche lui, in smoking da pomeriggio o maglietta con la Madonna, con conseguente casino da selfie. Due Italie del tutto separate, la parentesi gloriosa della Mostra e il resto, due continenti lontani, quale con il futuro più difficile si vedrà. Qui nel Paese irreale del voto, uno scavar di scandali e colpe e rinfacci da averci resi insensibili, là nel Paese reale della creatività, una serena commistione di ovvietà che solo pochi anni fa avrebbero suscitato scandalo oppure anche solo brontolio o interventi pro familia. Anche il cinema si è voluto allineare ai trionfi della diversità di genere e le sue mode, e per esempio il giovane riccioluto Timotée Chalamet, protagonista del venerato film di Guadagnino, Bones and all(Leone d’oro?), è apparso sulla passerella in tutina rosso fuoco a schiena nuda, più sexy certo del travestimento da mosca di Julianne Moore, e credo che per i commentatori più solenni (ce ne è ancora qualcuno, snobbato), è stata dura far finta di niente. E bene han fatto comunque perché qui a Milano, in via Torino, da giorni passeggiano contenti ragazzi presumibilmente maschi con abbigliamenti molto personali tipo calze di rete sotto minigonne e magliette con buchi corrispondenti ai capezzoli. Basta abituarsi. È evidente anche alla Mostra che le donne hanno più senso se di provenienza fallica, abbondando i film di trans o se, come in quello di Crialese in cui la bimba che non si piace perché vuole essere bimbo, è probabile che ci riuscirà visto che trattandosi disemiautobiografia, il regista diL’immensità appare completo se non altro di barbetta, baffi e calvizie. Il popolo dei gay è già un reperto storico, e Amelio con Il signore delle formiche racconta una storia assurda italiana degli anni ’60, mentre per chi ancora ci riflette su, c’è la storia di un babbo che abbandonò la figliolina per amore di un uomo: costui muore e il vedovo disperato diventa obeso, appunto The whale, la balena. Body shaming? Le signore forse hanno esagerato nel loro volersi imporre in una società maschile che già si sente anche troppo benefica, e i film della Mostra propongono soprattutto donne mamme e cornute o che desiderano essere mamma e non riescono, o sono abusate dal marito, o sono sante medioevali, o si odiano tra loro: e la sola professionista di successo, in ambiente maschilista è lesbica e si dice pure molestatrice. E i baci, che fine hanno fatto i baci, per decenni momento magico di ogni film che riempiva i cinema di pomeriggio, quando le signore da anni mai più baciate da qualcuno lacrimavano alla vista di Cary Grant a lungo con le sue labbra su quelle immobili e caste di Ingrid Bergman (Hitchcock,Notorious, 1946)? Generazioni più vispe sussultarono estasiate, altro che baci, per l’intrigo incestuoso e gli accavallamenti muti e forsennati di Jeremy Irons e Juliette Binoche (Malle, Il danno,1992). Trent’anni dopo, su Netflix, non so per le ventenni di oggi, ma di sicuro per quelle di allora e oltre, non si riesce ad evitare una calda lacrima sul viso. Quella calza nera stracciata! Io mi fido dei colleghi che al Lido non perdono un film e ce lo raccontano, perché ovviamente non li ho ancora visti. Mi pare quindi che, abbondando le classificazioni delle identità di genere, il sesso vecchio e nuovo si vede poco. E i baci, ripeto? Ce ne è di furibondi, incessanti, con bocche mangiate a e lingue arrotolate, talvolta anche sanguinanti per aver prima sbocconcellato altro, essendo i due giovani innamorati antropofagi; e nel film di chiusura, Il sole di mezzanotte
di Francesco Carrozzini, che si svolge in una comunità luterana in Norvegia, i due si guardano e si guardano e si guardano carichi d’amore, poi lui sfiora la bocca di lei, vedova ma casta, che si scosta indignata gridando “non cercarmi mai più”. Informo che il lui respinto è Alessandro Borghi, che belli così, e così (apparentemente) maschi, oggi se ne vedono pochi.