la Repubblica, 6 settembre 2022
Il ritorno in classe degli ebrei espulsi dalle leggi razziali
Sono tornati in aula con i capelli bianchi, recuperando, simbolicamente, il tempo perduto a causa della legge “per la difesa della razza nella scuola fascista’’, firmata dal re Vittorio Emanuele il 5 settembre 1938, giusto 84 anni fa, che cacciò o escluse dalle scuole pubbliche gli studenti “di razza ebraica’’. In 8, molti dei quali ultranovantenni, si sono ritrovati ieri mattina in un’aula tutta vetri e senza porte, ben diversa da quelle di allora, e dove siedono di solito gli allievi di Rondine Cittadella della pace, il borgo sulle colline dell’aretino trasformato nel 1998 da Franco Vaccari nello studentato internazionale World House, in cui giovani di tutto il mondo imparano a costruire nuove relazioni fra popoli e persone.
Da 7 anni, in accordo col Miur e in collaborazione con l’Unione delle comunità ebraiche italiane, la Cittadella offre a 30 diciassettenni di tutte le regioni d’Italia la possibilità di frequentare con il metodo Rondine il quarto anno delle superiori, e ieri, 84esimo anniversario delle leggi razziali, l’anno scolastico si è aperto all’insegna della memoria. In cattedra il professore per un giorno Francesco Bei, vicedirettore di Repubblica, seduti ai banchi, fianco a fianco, gli ex allievi vittime dei tempi bui – Miriam Cividalli, Lello dell’Ariccia, Ugo Foà, Claudio Fano, Fabio Di Segni, Carla Neppi Sadun, Gianni Polgar, Nando Tagliacozzo –, e gli studenti di oggi. Tutti insieme, ha detto Franco Vaccari, per ricordare «che ogni ora e ogni giorno di scuola sono un valore preziosissimo». Testimonial, da remoto, il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi e la senatrice a vita Liliana Segre, amica di Rondine che ha ricordato la sua storia di «bambina di 7 anni esclusa dalla scuola, e diventata invisibile», invitando i giovani a battersi«perché l’indifferenza nonvinca».
Un primo giorno «molto atteso», ha detto la presidente Ucei Noemi Di Segni, richiamando alla «responsabilità che ebbero all’epoca le istituzioni italiane» nell’avviare «contro i bambini il primo atto antiebraico», e invitando «chi si appresta oggi a governare l’Italia» ad essere «consapevole che questa parte di storia, subita non solo dagli ebrei ma da tutto il paese, è una storia di responsabilità istituzionali italiane». Primo fra gli ex allievi a raccontarsi è Ugo Foà, 94 anni, che nel ‘38 si vide «strappato un diritto», ferito dall’umiliazione di «studiare da solo, in casa, senza più i compagni», i quali comunque lo ignorarono. Miriam Cividalli, 91 anni, racconta di quando, dopo aver partecipato, nel maggio del ‘38, alla festa scolastica in onore di Hitler in visita a Firenze, fu poi tenuta tutto il tempo isolata contro un muro; Fabio Di Segni del senso di vergogna nel leggere “di razza ebraica” sul proprio atto di nascita, Carla Sadun, 94 anni, «dello sgomento e dell’umiliazione» di quando, bambina, fu emarginata durante un esame, mentre Claudio Fano, padre ucciso alle Fosse Ardeatine, definisce «scuola apartheid» la sezione speciale ebraica delle scuole pubbliche. Lello dell’Ariccia, classe 1937, che da scuola non fu cacc iato ma escluso, spiega «che non fu un’esperienza migliore», Gianni Polgar definisce quella di oggi «un’esperienza nuova, non un risarcimento», e Nando Tagliacozzo, che nella Shoah ha perso padre, sorella, nonna, zii, si chiede: «L’Italia ha davvero fatto i conticon quanto è successo?». Gli allievi giovani applaudono e riflettono: «Ci si lamenta di problemi da nulla», dice Noemi da Pistoia, «e c’è chi non ha potuto godersi la vita».