La Stampa, 6 settembre 2022
Via al porocesso di Nizza
Ci sono più di seicento testimoni. Seicento persone che hanno visto, che hanno pianto e che adesso, finalmente, vorrebbero poter dire qualcosa di utile. «Abbiamo riservato cinque settimane all’ascolto delle parti civili», spiega il presidente della Corte d’Assise Laurent Raviot. «Ma questa corte non potrà sentire tutti. Dovremo fare delle scelte, non possiamo straripare con le udienze nel prossimo anno».
Alle 13.43 di ieri, nella grande aula allestita appositamente all’interno del Tribunale di Parigi, si è aperto il processo per la strage di Nizza: 86 morti, 450 feriti, 850 parti civili. Una strage compiuta nel nome dello Stato Islamico e dall’Isis rivendicata. Mohamed Lahouaiej-Bouhlel, 31 anni, un cittadino francese di origini tunisine, nato a Sousse e residente a Nizza, si era preparato per mesi: il camion e le armi. «Una strage premeditata», ha stabilito il lungo lavoro degli investigatori. Resterà per sempre una delle notti più tragiche della storia europea.
Era il 14 luglio 2016. Estate, festa nazionale francese. I fuochi d’artificio illuminavano il cielo e una marea di persone, tutte insieme sulla Promenade des Anglais, stavano per essere investite dall’odio. Mohmad Lahouaiej-Bouhlel, a bordo di un Renault Midlum di colore bianco, 19 tonnellate di camion, accelerava sulla folla zigzagando appositamente e sparando dal finestrino abbassato. È stato ucciso da un poliziotto della gendarmerie dopo 1.847 metri, nel corso dei quali ha ammazzato all’impazzata, forzando la zona pedonale. Aveva lasciato il camion parcheggiato in una piazzetta laterale, a pochi metri da dove ha incominciato la sua corsa di morte. Era un camion noleggiato regolarmente due giorni prima del massacro, ma lì non poteva stare e si era salvato con una scusa: «Vendo gelati».
Piccoli precedenti per furto, una condanna per una lite in strada. Padre di tre figli, separato. Per l’accusa era «pienamente consapevole della sua adesione all’ideologia della jihad armata». Una personalità descritta con questi aggettivi: «Affascinato dalla violenza», «perverso», «psicologicamente instabile». Aveva guardato diversi video di Daesh, si era auto radicalizzato. Per gli investigatori non è stato possibile provare un collegamento diretto tra il terrorista e l’organizzazione dello Stato islamico. Ma l’assassino al processo non ci sarà. Lui è morto alla fine della carneficina. E prima di quell’attimo, in molti ricordano l’eroico tentativo di un motociclista di fermarlo.
A processo ci sono otto imputati: sette uomini e una donna. Ramzi Kevin Arefa, Chokri Chafroud e Mohamed Ghraieb sono accusati di aver aiutato Mohmad Lahouaiej-Bouhlel, consapevoli che stesse preparando un’azione violenta. Glia altri sono a processo perché gli avrebbero fornito le armi. Uno di questi, l’albanese Endri Elezi, 28 anni, è stato arrestato in Italia a Sparanise, in provincia di Caserta, ma ha sempre respinto le accuse. Il più giovane degli imputati, Maksim Celai, anche lui albanese, ieri era presente in aula: «Risponderò a tutte le domande». «È presente Brahim Tritrou?». Era presente anche lui, essendo in arresto dal 10 marzo 2021. È un pizzaiolo sospettato di aver fatto da intermediario tra il terrorista e un uomo che gli ha fornito una delle armi con cui ha sparato. Ieri la prima udienza è stata consacrata all’appello e alla costituzione delle parti civili. Un maxi schermo renderà possibile seguire il processo anche da Nizza, e da lì testimoniare.
Solo la notte di Parigi del 13 novembre 2015, quella passata alla storia come la notte dell’attentato al Bataclan, ha fatto più vittime e più testimoni e più persone con la vita stravolta per sempre. —