Corriere della Sera, 5 settembre 2022
Intervista a Penelope Cruz
Valerio Cappelli
DAL NOSTRO INVIATO
VENEZIA «Un attimo ancora ed è pronta», dice il truccatore con i ferri del mestiere in mano. Ecco Penélope Cruz, di bianco vestita, minuta come te l’aspetti ma la sua bellezza abbagliante dal vivo è un’altra cosa, illumina letteralmente la stanza. «Ola» dice dando la mano, e si parte, svirgolando sul tema della libertà al centro del film di Emanuele Crialese, L’immensità, in gara alla Mostra (dal 15 in sala per Warner).
Penélope recita in un italiano con qualche sporcatura, dice vamos e altre parole in spagnolo. Lei è la madre (Clara) di una bambina (Adriana) che si sente un maschio, che poi è la vita del regista, nato Emanuela e diventato Emanuele.
Come è entrata in una storia così intima e personale, che approccio ha avuto?
«Ho letto il copione e me ne sono innamorata. Non so quante volte ho pianto. Nel rapporto della madre con la figlia di 13 anni c’è una connessione forte, vivono in una casa che per loro è una specie di carcere, una specie di navicella spaziale che non ha nulla di realistico ed è il cuore ferito di quella famiglia. La maternità mi appartiene, è un mondo infinito sempre da scoprire».
La madre è prigioniera.
«Di una situazione coniugale, di un marito che non la ama, deve subire quel traditore seriale, le mani che la picchiano. E non ha un piano B».
La figlia (Luana Giuliani), nel corpo che non accetta, pur amando la sua parte femminile, non si toglie mai la maglietta.
«Vive in un mondo tutto suo, dice che viene da un’altra galassia, chiede che vengano gli extraterrestri a portarla via, in un’altra dimensione. Dice: mi avete creato male, manda giù non so quante ostie dicendo che devono fare un miracolo».
D’un tratto lei diventa Raffaella Carrà e Patty Pravo.
«Irrompo in tv sovrapponendomi a quei due miti. Raffaella è stata una donna importante per me anche se non l’ho conosciuta. Quando ho girato il balletto sulla canzone Rumore, mi hanno detto che era appena morta. La stavamo invitando per una sua visita sul set. Uno shock. Non sapevo che fosse malata».
Quando l’ha scoperta?
«Da ragazza, in Spagna, mia nonna mi portava al parco e io ballavo per le sue amiche le canzoni di Raffaella Carrà. Per me rappresentava l’uscire dal guscio, la libertà che è il tema del film. Da 18 a 60 anni, è stata sempre sé stessa, e sempre moderna».
Il suo personaggio è una donna che non si ribella.
«Negli Anni ’70 è vero che c’era stato il ’68 ma non ti ribellavi, Emanuele mi ha detto che la nonna, a sua madre ricoperta di lividi, diceva: “te lo devi meritare l’amore di tuo marito”».
Il mito Raffaella Carrà
In una scena rifaccio «Rumore» di Raffaella Carrà, diva importante per me anche se non
l’ho mai conosciuta
Ballavo i suoi brani per
le amiche di mia nonna
Quel marito è...
«Miope, violento, inadeguato. Dice: nostra figlia pensa di essere un maschio, non ha limiti. I tempi sono cambiati, la mentalità è rimasta».
Basti pensare all’Afghanistan, all’Iran.
«Purtroppo in tante parti del mondo le donne vivono ancora in quel modo, e forse anche peggio. C’era necessità di fare questo film, uno dei motivi per cui l’ho interpretato è che parla di violenze domestiche».
C’è una frase bellissima, quando la figlia studia al microscopio: dentro ogni cosa ce n’è una nascosta.
«Questa storia tocca il cuore. Ma la madre del film la trovo anche moderna, nel senso che lei capisce la necessità della figlia, la rispetta, merita la libertà che reclama. Sua madre è la sua complice, la nutre e le dà coraggio. Agli altri dice: si chiama Adri».
Lei è amata in Europa e a Hollywood, ma forse non è mai partita.
«Dal mio Sud, intende? Sì è così, perché la mia famiglia, mia mamma e mio papà, sono rimasti in Spagna. Io ho vissuto a Los Angeles. Ma le radici sono presenti in me».
Lo scorso anno ha vinto la Coppa Volpi a Venezia.
«Per Madres Paralelas del mio fratello Pedro Almodovar, anche lì una storia familiare dolorosa. Ero anche per Competencia Official».
Ha una stanza con tutti i premi?
«Li tengo insieme e mi fanno pensare alle persone che mi hanno dato l’opportunità di lavorare a tanti bei film, penso a quei volti».
La sua parabola ricorda quella di Sophia Loren. Blockbuster e film d’autore, le pubblicità, il glamour…
«E anche le origini umili, i miei avevano un negozio di peluqueria, come si dice qui, parrucchieri. Ho lavorato con Sophia in Nine, quando ci parliamo mi dà lezioni di vita, è una donna molto buona».