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 2022  settembre 04 Domenica calendario

GEDI D’ARGILLA – VI RICORDATE DELL’INCHIESTA DELLA PROCURA DI ROMA SULLE BABY PENSIONI DEL GRUPPO DI “REPUBBLICA”? I MAGISTRATI SONO PRONTI A CHIEDERE IL RINVIO A GIUDIZIO PER I DIRIGENTI E PER LA SOCIETÀ, ALL’EPOCA GUIDATA DALLA FAMIGLIA DE BENEDETTI – LE ACCUSE SONO PESANTISSIME: SI VA DALLA TRUFFA AGGRAVATA AI DANNI DELLO STATO PER AVER INDOTTO IN ERRORE L'INPS, ALL'ACCESSO ABUSIVO A SISTEMA INFORMATICO ALLA RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA DA REATO. PER “MASSIMIZZARE I PROFITTI” L'AZIENDA AVREBBE MANDATO IN PENSIONE DIPENDENTI CHE NON NE AVEVANO DIRITTO, ANCHE SOTTO I 55 ANNI -

Le brutte notizie per il gruppo Gedi non finiscono mai. Mentre i suoi giornalisti sono impegnati a cercare di esorcizzare la vittoria annunciata della destra alle prossime elezioni, la magistratura è pronta a chiedere il rinvio a giudizio per i suoi dirigenti e per la stessa società.

La Procura di Roma ha notificato nelle ultime settimane avvisi di chiusura delle indagini a decine di dipendenti o ex dipendenti di Gedi, editore, tra gli altri, della Repubblica, della Stampa e del Secolo XIX, quando era guidato dalla famiglia De Benedetti (sino a fine 2019, quando è stato ceduto alla Exor della famiglia Agnelli-Elkann).

Le accuse sono pesantissime ed erano state anticipate tra dicembre e gennaio da questo giornale: si va, a vario titolo, dalla truffa aggravata ai danni dello Stato per aver indotto in errore l'Inps, all'accesso abusivo a sistema informatico alla responsabilità amministrativa da reato (per cinque aziende della holding), ai sensi del decreto legislativo 231.

Per «massimizzare i profitti» l'azienda avrebbe mandato in pensione dipendenti che non ne avevano diritto, anche sotto i 55 anni. Il 9 dicembre scorso il gip di Roma Andrea Fanelli, ha ordinato di «congelare» il presunto corpo del reato ovvero l'illecito profitto che Gedi avrebbe conseguito grazie all'abbattimento del costo del personale quantificato dai pm in 38,9 milioni di euro.

Denari che il giudice ha fatto cercare nelle casse di Gedi (12,8) e di altre aziende della holding (la concessionaria pubblicitaria Manzoni -8,7-; Elemedia -3,6; Gedi news network -6,4-; Gedi printing -7,4-). All'epoca il gruppo ha aperto in tutta fretta un conto ad hoc per evitare l'aggressione ai beni immobili dei quattro principali indagati: l'ex ad del gruppo Monica Mondardini (attuale amministratore delegato del gruppo Cir), il capo delle risorse umane Roberto Moro, il suo vecchio vice Romeo Marrocchio (poi passato al Sole 24 ore), il direttore generale della divisione Stampa nazionale Corrado Corradi (ora, stando al suo profilo Linkedin, ad e direttore generale di Gedi news network).

Nel decreto di sequestro erano elencati i 101 indagati (due nel frattempo erano deceduti), tra presunti prepensionati a sbafo (80, compresi 16 dirigenti), manager accusati di truffa (17), sindacalisti ritenuti complici (almeno sei, per lo più della Cgil), funzionari Inps sospettati di infedeltà (due) e altre figure minori (due). Dall'avviso di chiusura delle indagini si capisce che le accuse non sono cambiate e adesso tutti i personaggi coinvolti rischiano il processo. Dopo aver ricevuto la notifica gli indagati hanno tempo 20 giorni per farsi interrogare o presentare memorie.

Ma visto il periodo estivo i termini si sono allungati. Al termine di tutte le notifiche il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il pm Francesco Dall'Olio chiederanno, salvo cataclismi, il rinvio a giudizio per la maggior parte delle persone coinvolte.

Le frodi sarebbero state, stando alla ricostruzione degli inquirenti, fondamentalmente quattro: fittizi demansionamenti di dirigenti a quadro per fargli ottenere i requisiti previsti dalla normativa di settore per i prepensionamenti; illeciti riscatti di annualità (a spese dell'azienda) asseritamente lavorate, per le quali non risultavano i relativi versamenti contributivi (i libretti di lavoro sarebbero stati truccati); utilizzo come collaboratori esterni, nelle stesse società del gruppo, di dipendenti prepensionati in quanto falsamente indicati come esuberi; trasferimenti di personale eseguiti (in svariati casi solo «cartolarmente») per poter accedere «indebitamente» agli scivoli previsti per la sede/società di destinazione.

Nello specifico, «le investigazioni della polizia giudiziaria», sostiene l'accusa, avrebbero consentito di raccogliere «gravi indizi» nei confronti di 83 presunte posizioni illecite, così distinte: 16 dirigenti fittiziamente demansionati; 44 dipendenti che hanno illecitamente riscattato periodi contributivi; 20 dipendenti fittiziamente trasferiti/transitati; tre dipendenti prepensionati che hanno continuato il rapporto di lavoro come collaboratori esterni.

L'innesco ai prepensionamenti considerati illeciti era stato raccontato agli inquirenti da Michela Marani, responsabile del controllo di gestione del gruppo: «Intorno al 2007/2008, in concomitanza con una progressiva riduzione dei margini del gruppo, gli azionisti De Benedetti (ingegner Carlo e Rodolfo) hanno chiesto all'allora vertice aziendale [] di individuare una serie di interventi, prevalentemente sui costi, volti a preservare la marginalità del gruppo». La decisione finale «di procedere con i prepensionamenti veniva presa direttamente», sempre secondo la teste, «dalla Mondardini».

E in occasione della discussione finale del documento di budget, raccontò la testimone, «era presente anche la proprietà». In quell'occasione sarebbe stato illustrato l'intero piano di ristrutturazioni: compresa la parte sulla riduzione del costo del lavoro, compresi i prepensionamenti. Ma i De Benedetti, che non risultano indagati, non sarebbero stati messi a conoscenza degli escamotage illeciti.

Per i magistrati a inchiodare la Mondardini ci sarebbe un'intercettazione ambientale del 12 luglio 2018, captata all'interno di un ristorante romano. Al tavolo, oltre all'ex ad di Gedi, ci sono anche il direttore generale Corradi, il capo del personale Moro e l'ex direttore di Repubblica Ezio Mauro. L'analisi degli investigatori è questa: «È sembrata proseguire la direzione, di fatto, del gruppo Gedi, da parte della Mondardini, eseguita per il tramite del direttore generale Corradi e del responsabile delle risorse umane Moro, anche dopo la nomina del nuovo amministratore delegato Laura Cioli». È Mondardini a raccontare la genesi del parere pro veritate redatto dal professor Arturo Maresca e depositato insieme alle memoria difensiva di Gedi e della stessa Mondardini.

Stando a quanto riportò ai commensali Mondardini, Maresca avrebbe affermato: «Dottoressa questi sono artifizi... alcuni sono artifizi... perché voi dovevate trasferirli fisicamente». Mondardini continuò a raccontare come si svolse la conversazione con il prof: «Gli ho detto: professore, la magistratura prudente, a tal punto che se non c'è proprio nulla... mobilitano 103 finanzieri?».

E sempre riferendosi alla chiacchierata con Maresca, aggiunse: «Si siede e mi dice: "Beh certo dottoressa, bisognerebbe dimostrare che tutto questo personale sia trasferito". Ho detto: "Perché, lei crede che io sarei qui se fossero trasferiti realmente?"». Parole che devono essere apparse agli inquirenti come una confessione.